Conte, Balotelli e quella Nazionale che doveva essere un premio

Antonio Conte lo aveva spiegato con chiarezza perché non ci fossero problemi di interpretazione. Da subito, quando a metà agosto si era insediato nel ruolo di commissario tecnico. Parole chiare e nette: "Non bastano 2-3 minuti in serie A o, magari, due goal a partita per essere chiamati. La Nazionale è un premio, qualcosa da conquistare e da soffrire, qualcosa che crei un'ansia o ti faccia star male se poi non arriva".

Detto e fatto. Siccome Conte versione ct tiene alla salute dei (pochi) calciatori italiani azzurrabili, le porte di Coverciano si sono spalancate da subito perché a nessuno venisse un attacco d'ansia o peggio. Con la chiamata di Moretti, Bertolacci e Soriano, il ritorno di Cerci e, soprattutto, la resurrezione di Balotelli, siamo arrivati a quota 38. In poco più di due mesi di lavoro. Non ancora un record, ma in perfetta linea con gli ultimi selezionatori, prodighi di convocazioni e debutti. Prandelli, per esempio, ne ha chiamati 82 in quattro anni, Lippi 102 nella sua doppia esperienza, Donadoni 67 in un biennio e, prima di lui, Trapattoni 77.

Conte sta affrontando il ruolo da ct secondo lo stile di Arrigo Sacchi, il primo a trasformare Coverciano in un laboratorio tattico dove sperimentare anche profili che prima di allora non avrebbero avuto spazio in azzurro. Sacchi ne chiamò in tutto 88 segnando una nuova epoca. Non c'è nessuna rivoluzione, insomma, e nessuno scandalo. Solo la sconfessione di quanto dichiarato ad agosto. In due mesi e mezzo Conte è già arrivato vicino ai numeri di Cesare Maldini (42), Vicini (45), Zoff (50) e Bearzot (58). Altri tempi e altri percorsi professionali prima di arrivare al ruolo di ct.

La chiamata che fa più discutere è, ovviamente, quella di Balotelli. Fin qui ha messo insieme 14 presenze e 2 gol (nessuno in Premier). A Liverpool si stanno chiedendo perché mai hanno investito 20 milioni di euro su di lui e a gennaio potrebbe essere svenduto al miglior offerente. Perché convocarlo? Tralasciando il sospetto che dietro ci sia lo zampino dello sponsor Puma (malignità da malpensanti), resta una sola spiegazione: Mario era così consumato dall'ansia per la maglia azzurra che non arrivava da trascorrere sabato notte - giusto dopo l'ennesimo ko dei Reds - in una nota discoteca. Sia che l'abbia fatto per dimenticare, sia che stesse festeggiando la prossima chiamata, uno così era impossibile da lasciare a casa. Non lo faceva Prandelli, perché mai avrebbe dovuto pensarci Conte?

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