Mutti, il pomodoro made in Italy cerca altro pomodoro

Passaparola tra gli svedesi. Passaparola tra i giapponesi. Un po’ di comunicazione in Francia e alla fine, non c’è mai abbastanza pomodoro per soddisfare le richieste del mercato. Stiamo parlando della Mutti, azienda di Parma che opera nel mercato del concentrato di pomodoro, passata e polpa. Fatturato in italia nel 2012, 119 milioni di euro. All’estero invece ne ricava 37.400 ed è appena andata in “rottura di stock”, termine tecnico per dire che non ha abbastanza prodotto per soddisfare tutta la domanda.

In un momento in cui i consumi interni ristagnano e le famiglie si orientano sulle private label (i prodotti con il marchio del singolo rivenditore) crescere in Italia del 17 per cento e altrettanto nelle esportazioni è davvero un risultato importante. “Eppure è così” commenta l’amministratore delegato Francesco Mutti. “Il nostro segreto è aver sempre lavorato secondo una strategia di medio e lungo termine, investendo molto ogni anno e curando puntigliosamente la qualità ”.

La Mutti, azienda familiare di lunga storia, soltanto lo scorso anno ha investito in tecnologia oltre 7 milioni di euro e offre compensi più alti ai fornitori per riuscire ad aggiudicarsi pomodori di primissima scelta. “Nel 2012, nel distretto del  pomodoro padano, Mutti ha speso circa 1 milione e mezzo di euro in più in materia prima" continua l’amministratore delegato "ed è proprio questa attenzione che ci ha permesso di consolidarci progressivamente all’estero. In Svezia siamo ormai leader, ma soltanto adesso cominciamo a investire in comunicazione perché la strada ce l’ha aperta il passaparola. In Giappone cresciamo a ritmi vertiginosi così come in Australia. Adesso puntiamo sugli Stati Uniti, ma dobbiamo attrezzarci per potenziare la produzione, che già adesso non riesce a tenere il passo con la domanda”.

È per questo che l’azienda, dopo anni tradizionalmente votati all’acquisto e alla lavorazione di pomodori nella pianura Padana e in Emilia Romagna, sta provando ad affacciarsi a sud. “Diciamo che stiamo testando la zona. Abbiamo già affittato uno stabilimento produttivo e se lavoreremo bene, non è escluso il suo acquisto”.

Le  regole della “filiera Mutti” però, non dovranno essere disattese. È infatti di questi giorni la polemica sullo sfruttamento dei braccianti africani nei campi di pomodori del meridione: manodopera sottopagata e arruolata attraverso il caporalato . “Noi siamo lontani anni luce da tutto questo” taglia corto Mutti. “Nella nostra zona la raccolta è sempre stata automatizzata, quindi nessuno sfruttamento. Non è nella nostra tradizione. Non tradiremo certo quello che è da sempre il nostro modello di sviluppo: anche questo fa parte del test cui stiamo sottoponendo l’area di produzione a sud”.

Oggi Mutti vende 80 milioni di scatole di polpa di pomodoro, 50 milioni di bottiglie di passata e 15 milioni di tubetti di concentrato di pomodoro. Controlla il 52,6 per cento di un mercato che vale 32,5 milioni di euro. “Non è questione soltanto di marketing, ma di scelte. Prima di acquistare la materia prima controlliamo ben 20 parametri. Questo spesso limita i quantitativi e la produzione, ma a quanto pare, allarga il mercato”.

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