Come ricevere il Diavolo nel salotto di casa: Dostoevskij e Mann alle prese con Satana (vestito male)

Faust, Murnau

I preti e i satanisti amano dire che l’astuzia più grande del diavolo è convincerci che non esiste, citando lo stesso poeta che definì Dio «un tiranno satollo di carne e di vini, che s’addormenta al dolce brusio delle nostre orrende bestemmie».

Quindi: il Diavolo esiste, ma fa finta di no, e noi tutti, popolo e sacerdoti, incolti ed eletti, lo sappiamo. Il che vuol dire: non ci crediamo, ma in fondo ci crediamo. Siamo d’accordo.

Quanto genio ci vuole per ribaltare questo assunto? E cioè per dire al mondo: guardate che l’astuzia più grande del diavolo consiste nel convincerci che esiste?

Tanto genio. Tanta letteratura, tanta musica e teologia, tanto pensiero che scalda la scatola cranica. Conosco due che l’hanno fatto. Entrambi avevano in testa talmente tanto inferno che hanno affidato la Verità, cioè l’apparizione del diavolo che non esiste, a due personaggi affetti da febbri cerebrali, deliri, spasmi dell’intelletto.

Il primo è Dostoevskij, che lo fa comparire su un divano di fronte a Ivàn neI fratelli Karamazov; il secondo è Thomas Mann, che 68 anni dopo prende il diavolo di Dostoevskij e lo mette su un altro divano, davanti al musicista Adrian Leverkühn, protagonista del Doctor Faustus.

Sia Ivàn che Adrian sono malati di «una specie di disordine al cervello»: Adrian infatti ha la sifilide, Ivàn l’epilessia. Sono tormentati dal ricordo di qualcosa di penoso e ripugnante, qualcosa che sembra abitare lì con loro nella stanza, nascosto ma percettibile, e pronto a manifestarsi nella penombra, preannunciato da un «senso di gelo».

Mann ovviamente conosce e cita Dostoevskij, contraddicendolo, lusingandolo, scherzando con lui attraverso i trabocchetti linguistici del visitatore infame.


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