Cocaina, maxi operazione tra Italia e Colombia, 33 arresti - Foto

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Un fotogramma del video della Guardia di Finanza sulla maxi operazione antidroga tra Italia e Colombia
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Tonnellate di cocaina che dal sud America inondano l'Europa e gli Stati Uniti, corrieri che ingeriscono ovuli pieni di banconote da 500 euro, gruppi terroristici a protezione dei carichi di droga, contatti diretti tra calabresi e narcos colombiani: l'indagine della Guardia di Finanza con la polizia nazionale colombiana e la Dea americana ribadisce ancora una volta l'importanza della collaborazione tra i diversi paesi per combattere le grandi organizzazioni internazionali che gestiscono il traffico di droga.

La maxioperazione si è conclusa oggi, con l'arresto di 33 persone, 11 in Italia e 22 in Colombia, e il sequestro di 11 tonnellate di cocaina che, se immesse sul mercato, avrebbero fruttato 3 miliardi. I provvedimenti di fermo emessi dalla Dda di Reggio Calabria hanno riguardato 8 cittadini italiani e 3 stranieri accusati di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti: i finanzieri del Gico della Gdf sono riusciti a ricostruire almeno tre episodi in cui sono stati importati nel nostro paese 240 chili di cocaina purissima.

L'indagine è iniziata ad aprile del 2013, quando sono stati identificati alcuni soggetti che erano i punti di riferimento nella locride del narcotraffico internazionale: tra questi i fratelli Franco e Giuseppe Cosimo Monteleone, Giuseppe Grillo Pasquale Virgara. Erano loro, dice la procura, che da Platì si erano posti al vertice dell'organizzazione, mantenendo i contatti con i fornitori, acquistando e distribuendo la coca. E questo conferma, dice il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho, "che la 'Ndrangheta ha rapporti strettissimi con i grandi trafficanti internazionali, tanto che alcuni di loro sono stati ospitati proprio a Platì, per concordare i carichi e ricevere i pagamenti".

E proprio sulle modalità di pagamento della droga, l'indagine ha svelato un episodio inedito: il denaro viaggiava come la coca, nascosto in ovuli ingeriti da corrieri che poi, una volta al di là dell'oceano, li consegnavano ai fornitori. Uno di loro è arrivato a ingerire 23 ovuli, ognuno con 3mila euro per un totale di 69mila. Un primo carico di coca, però, non arriva: 93 kg nascosti in un container che dal Costarica era diretto a Civitavecchia, per un disguido tornano in centro America e vengono intercettati a Panama. I calabresi non demordono e gli investigatori registrano diversi viaggi in centro e sud America, per organizzare le successive spedizioni. Due di queste, a luglio e dicembre 2015, vengono intercettate, entrambe a Venezia. La droga, nascosta in container di ananas e manioca, arriva al porto di Livorno e da lì viene trasferita in laguna. In un caso si decide di rinviare il sequestro, di 50 kg, per seguire i trafficanti; nell'altro invece gli investigatori sequestrano 98 kg di coca nascosti in finti tubi di manioca.

La scelta dei porti non è casuale: "Gioia Tauro - spiega de Raho - è super controllato, in questi primi 6 mesi del 2016 abbiamo sequestrato 1,5 tonnellate di droga. Dunque le organizzazioni tendono a delocalizzare i carichi". L'inchiesta italiana ha consentito alla Dea di intervenire in diversi paesi: tra Colombia, Costarica, Panama, Messico, Brasile, Perù, Cile, Venezuela, Repubblica Dominicana ed Ecuador, gli americani hanno scoperto e distrutto 7 laboratori clandestini, arrestato 111 persone e sequestrato 11 tonnellate di cocaina. Tra i 22 arrestati in Colombia, invece, vi sono anche alcuni membri dell'Esercito di liberazione nazionale (Eln), considerato un'organizzazione terroristica, che si occupavano di garantire il trasporto in sicurezza della droga dai laboratori nella giungla ai depositi lungo la costa.

"È una delle operazioni più importanti degli ultimi anni" ha detto il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Franco Roberti. L'indagine infatti "dimostra per la prima volta in modo significativo l'importanza di indagare non solo sui carichi di cocaina ma anche sulle transazioni che li muovono. E dunque la strategia vincente, che consente un vero salto di qualità, è sequestrare i soldi che sono a monte delle spedizioni". Ma c'è un secondo aspetto altrettanto importante: "la collaborazione - sottolinea il procuratore - ha consentito di arrivare ai membri chiave dell' Eln. Vuol dire che il contrasto al terrorismo è efficace quando si contrastano le attività che finanziano il terrorismo". (ANSA).

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