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Che cosa pensano gli italiani dei provvedimenti-premio per i detenuti

Pochi giorni fa, il ministro Cancellieri, riferendo in Aula sui fatti dell'ennesima evasione di un pericoloso carcerato durante un permesso premio concessogli dal magistrato (ci riferiamo alla vicenda di Gagliano a Genova, ma poi pensiamo anche a quella di Esposito a Pescara), non ha omesso di ricordare come i benefici concessi dal giudice, rispettassero in pieno il principio di rieducazione e reinserimento sociale di cui esplica la Costituzione Italiana. All'Articolo 27 - Capo 3, infatti, inequivocabilmente recita: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

Il carcere visto come un luogo in cui trasmettere agli autori di reati un nuovo quadro di valori. Un concetto avanzato e relativamente recente, quello che attribuisce alla pena la funzione di provvedere al ravvedimento del condannato per reinserirlo nella società, che però piace poco agli italiani.

Neanche ad un quarto, il 24%. Per più della metà, invece, vale il principio retributivo: occorre punire per restituire il male commesso. Una punizione, in cui il carcere sostituisce quello che prima poteva essere la sofferenza, la tortura, la morte.

Una terza linea di pensiero, quella pena come atto preventivo, è valida per circa un italiano su cinque: il carcere non deve permettere la recidiva dell'azione criminosa.

In questo contesto, dunque, si può meglio comprendere come più dei due terzi degli italiani siano favorevoli al lavoro forzato. Non per chi commette certi crimini, allorché gravi; ma per chi commette reati in generale, qualsiasi illecito di una certa rilevanza.

E' il principio retributivo: bisogna restituire alla società quel che le si è preso (magari cercando anche di non dare premi).

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