Il centrodestra vince ma ora deve dimostrare di saper governare (per 5 anni)

Vince il centrodestra, ma con sfumature diverse. E’ una vittoria di Giorgia Meloni, un pareggio di Berlusconi, e una sconfitta per Matteo Salvini. Paga l’opposizione al governo Draghi; di converso, gli elettori hanno punito chi si è infilato nell’avventura dell’unità nazionale insieme alla sinistra e ai cinque stelle. Questa la sintesi del risultato del centrodestra che riconquista Palazzo Chigi.

Fratelli d’Italia incassa un voto poderoso che premia fondamentalmente la coerenza: in una fase politica “liquida”, in cui alleanze, partiti e governi si fanno e si disfanno a prescindere dai contenuti politici, il punto forte di Fdi è stata la “solidità” delle proprie posizioni lontano dalle poltrone. E una obiettiva capacità di connettersi alle fasce più in difficoltà nel paese, cavalcando temi concreti e rifuggendo i compromessi. Una donna potrà probabilmente superare la soglia di Palazzo Chigi, pur senza sventolare la bandiera del femminismo (anzi, forse proprio rifuggendo certe campagne ideologiche).

A fare le spese del boom meloniano è stato soprattutto l’alleato leghista, che viene doppiato in molte roccaforti del Nord. Matteo Salvini ammette che la permanenza al governo con la sinistra non ha premiato, e ora si ritrova con la metà dei consensi del 2018. La resa dei conti all’interno della Lega è appena iniziata, e l’ala “moderata” del partito si farà sentire. Si apre dunque una fase turbolenta in via Bellerio, dagli esiti tutt’altro che scontati. Si tratta di un partito non abituato a decapitare segretari o a vivere scissioni: al contrario l’imprinting leghista è quello di muoversi uniti, a prescindere dalle divisioni interne. Probabilmente anche gli stessi alleati sperano in una tregua all’interno della Lega, perché uno scontro interno troppo cruento, del resto, non aiuterebbe certamente la salute della coalizione.

Forza Italia resiste, a dimostrazione di una legge ferrea della politica italiana: mai dare per sconfitto Silvio Berlusconi. Il suo partito non cede un voto al terzo polo, anzi assiste alla disfatta di alcuni “traditori” eccellenti che hanno abbandonato la casa del padre ( come Mara Carfagna), e limita l’emorragia conseguente al fatto d’aver staccato la spina all’esecutivo Draghi. A dimostrazione del fatto che il leader di Forza Italia può contare ancora su un solido elettorato di riferimento, disposto a seguirlo ovunque. Berlusconi potrà avere buon gioco per ricoprire il ruolo di “regista” e fungere da raccordo tra Fratelli d’Italia e le riottosità leghiste.

Al di là della maggioranza numerica, questo centrodestra riuscirà a governare? I numeri ci sono, ma ci saranno anche protagonismi da conciliare. Probabilmente i primi dissidi si verificheranno al momento della definizione dei ministeri. Difficilmente Salvini potrà reclamare l’Interno, ma in ogni caso cercherà di portare a casa delle poltrone strategiche che possano fargli rastrellare consenso prima dell’inevitabile congresso leghista, che però non si celebrerà in tempi brevi. Certamente la Lega salviniana in deficit di consensi cercherà da subito visibilità: e a livello politico Giorgia Meloni dovrà convivere con le ebollizioni leghiste, che certamente affioreranno sui temi identitari come la collocazione internazionale e le questioni fiscali. Bisognerà far valere i nuovi rapporti di forza (forse anche alle prossime regionali in Lombardia?) ma stando bene attenti a non mortificare gli alleati, senza i quali non si può certo procedere.

Tutto questo tenendo conto che i veri problemi sono fuori dalle segreterie dei partiti, e passano dalle bollette esplosive, ai drammi occupazionali, alla recessione ormai sulla porta di casa. Affrontare la tempesta sarà un compito da far tremare i polsi: ma adesso il centrodestra, su mandato dei cittadini, ha la sua possibilità per dimostrare di cosa è davvero capace.

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