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Quale futuro per il centrodestra?

I voti sommati di tutti i partiti d’ispirazione moderata di centrodestra fanno un terzo degli elettori delle Europee, senza contare quei 20 milioni che non sono andati a votare e che non avevano la motivazione di questa tornata (scegliere tra Renzi e Grillo nella polarizzazione degli ultimissimi giorni) e in discreto numero saranno certamente non di sinistra. Questo significa che il potenziale del centrodestra in Italia è vivo, forte, inossidabile. Ma non ha modo di esprimersi perché non è più rappresentato, o è pluri-rappresentato. Perfino Matteo Renzi, esponente d’una sinistra cattolico-liberale di stampo più anglosassone che latino, ha potuto pescare nel bacino tradizionale dei moderati “anti-comunisti”.

Chi raccoglierà il testimone di Berlusconi? Chi sarà il futuro leader del centrodestra? Berlusconi è il leader del passato e, ancora, del presente. Ma per quanto? E per quanto la sua leadership così forte, così pesante, impedirà che alzino la testa nuovi leader?

Finora, dalla selezione della classe dirigente azzurra sono uscite solo figure di seconda fila. Qualcuna si è pure montata la testa e ha pensato di sostituirsi a Silvio Berlusconi senza avere il quid. Fini e Alfano, gli ultimi. Adesso si parla di Matteo Salvini, leader rampante della Lega “basta euro”, Giorgia Meloni, leader romanesca della destra del centrodestra, Alessandro Cattaneo che è la versione di una destra pragmatica stile sindaco rottamatore alla Renzi, Raffaele Fitto campione di preferenze giovane-vecchio della politica del Sud fatta di lavoro quotidiano sul territorio, Giovanni Toti che è l’opposto (il professionista che arriva tardi alla politica e non ha territori da arare ma un’immagine da spendere), Corrado Passera il banchiere con disponibilità finanziarie e una gran voglia di entrare in politica ma che per il momento fa non si allinea al canapo, come al Palio, e esita a entrare in gioco. Infine, nomi meno gettonati, outsider e outsider. Su tutti, ovviamente, incombe il carisma dell’unico “nato leader”, Berlusconi. Nel senso di Silvio (per la famiglia, Marina o Barbara o chissà, non è aria o non è il momento).

Il problema è che dietro ciascun concorrente c’è un’idea di destra che confligge con gli altri/le altre. Salvini non vuole l’Euro ed è nordico, la Meloni è l’erede della destra sociale anti-euro ma è nazionalista e romano-centrica, Cattaneo è il giovane liberale di estrazione “destra” non anti-euro, Fitto la quintessenza della vecchia dc cattolica meridionale, Toti quello per bene e con le idee giuste ma senza un esercito, Passera il distillato di una cultura del rigore e della finanza, l’élite tecnocratica, etc. etc. 

C’è chi vuol combattere l’immigrazione e chi la considera una ricchezza per l’economia, chi vuole uscire dall’Euro(pa) e chi vuol restarci con più determinazione, chi si fa portavoce delle corporazioni professionali e dei pubblici dipendenti e chi invece ha per interlocutori gli “invisibili” (partite IVA e imprenditori), chi sostiene il merito e contesta i diritti garantiti e privilegia il cambiamento, e chi difende la media borghesia che timbra il cartellino. Se il centrodestra in fondo è sempre stato la DC o nella DC, si chiamasse Democrazia Cristiana o Forza Italia, adesso quella variegata potenza di fuoco di blocchi sociali diversi e perfino contrapposti sembra confluita in parte nel PD catto-liberale di Renzi (il Nordest insegna). 

E allora? Si deve ripartire dai contenuti, da un manifesto come quello che nel ’94 ha fissato gli obiettivi e le parole d’ordine del centrodestra liberale. E Berlusconi deve consentire il libero confronto senza investiture dall’alto e non limitato al recinto di Forza Italia. Un confronto che sia realmente tra i migliori. 

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