Caso Penati: l’analfabetismo garantista del Pd

Filippo Penati ANSA / ALESSANDRO DI MEO

Il PD ha una granitica certezza: Penati deve farsi processare. La giustizia deve fare il suo corso, si potrebbe dire. Peccato che qui la giustizia il suo corso lo abbia fatto, almeno per il momento. La richiesta di custodia cautelare per Filippo Penati avanzata dai pm di Monza è stata respinta dal gip, che ha riqualificato la concussione contestata all’ex braccio destro di Bersani in corruzione, reato i cui termini prescrizionali sono già decorsi. I pm hanno depositato un ricorso al Tribunale del Riesame.

Per il PD però non basta. Penati deve rinunciare alla prescrizione. Ne va dell’immagine del partito. Il coro trova concordi Letta e Renzi, Violante e Civati. L’unità del partito, tra rottama tori e rottamandi, è temporaneamente restaurata in nome del tradizionale analfabetismo garantista, cui la sinistra pare ormai irrimediabilmente votata. Deposte le armi (spuntate) della superiorità morale (e chi ci crede più?), si impugnano i forconi purificatori. In un rovescio del diritto foriero di inciviltà.

La prescrizione, da istituto di garanzia contro le disfunzioni di una giustizia lenta e inefficiente, viene degradata a strumento “per farla franca”. Ne consegue che rinunciarvi sarebbe un atto di coraggio, una prova di moralità. In altre parole, anche se per la giustizia sono un presunto innocente, per il partito resto un presunto colpevole. La mia colpevolezza non si fonda dunque sui fatti accertati da una sentenza di tribunale, ma sulla rappresentazione dei fatti secondo la morale dei capipartito. Una scelta esclusivamente personale diventa un compito da assolvere, su gentile richiesta del partito. In barba al principio della presunzione di non colpevolezza, in barba allo stato di diritto.

Analfabetismo garantista, di cui abbiamo un’ulteriore prova allorquando nessuno batte ciglio di fronte all’imbarbarimento del lessico dei magistrati inquirenti, che nella richiesta di custodia cautelare definiscono l’indagato un “delinquente matricolato”. Quegli atti coperti da segreto istruttorio finiscono sulle prime pagine dei giornali, ma non importa a nessuno.
La subalternità della sinistra nei confronti della magistratura (e della stessa malintesa logica giudiziaria) restituisce il quadro di una politica consegnata agli esiti dei processi anticipati a mezzo stampa. Un’annosa rincorsa a far sfoggio della propria verginità penale e morale.

La vicenda di Sesto San Giovanni un risvolto politico ce l’ha. Il PD, anziché affrontarlo, sceglie di schierare il Tribunale Speciale contro gli improbi da spedire al confino.
Il risvolto politico richiama alla memoria quel discorso di Craxi del ’92. La questione irrisolta del finanziamento illecito dei partiti e, più in generale, il rapporto tra quei comitati d’affari, che ancora si fregiano del nome di “partiti”, e i gruppi del potere economico a livello locale. Un sottobosco di potere e potentati ricoperto da un gigantesco opaco alone. Per il PD, però, quel che conta adesso è scovare la mela marcia. O il capro espiatorio, se preferite.

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