Caso Lusi, il Senato è un tribunale

«Il Senato non è un tribunale» ha detto Emma Bonino, senatore radicale, annunciando ieri il suo voto a favore dell’arresto di Luigi Lusi, collega senatore ed ex tesoriere della Margherita. Però il Senato-che-non-è-un-tribunale, alla fine, in carcere Lusi ce l’ha spedito. E non per i motivi stabiliti dal codice penale e dal codice di procedura penale: non per un potenziale inquinamento delle prove, né per un pericolo di fuga imminente, né ancora per l’ipotesi che Lusi potesse reiterare il reato, cioè continuare (in base all’ipotesi dell’accusa) continuare a sottrarre fraudolentemente fondi dalle casse del partito disciolto cui era appartenuto. Il Senato, a maggioranza, ha deciso per il via libera all’arresto esclusivamente per calcolo politico: perché la pressione dell’opinione pubblica giustizialista non lo avrebbe giustificato. Come era stato un anno fa per Alfonso Papa, parlamentare del Pdl, finito a Poggio Reale nell’ambito dell’inconcludente inchiesta napoletana sulla cosiddetta P4.

Così va la giustizia in questo Paese. Stupisce soltanto che anche una parlamentare garantista come Emma Bonino abbia deciso per il sì. Certo, il suo è stato come sempre un bel discorso. Ha cercato di spiegare, la senatrice, che lo scandalo «vero» sono quei 14 mila e passa detenuti attualmente in carcere in attesa di un primo processo: reclusi in custodia cautelare preventiva, ma senza il bene (o meglio, il male) di una sentenza di condanna. Nelle 205 prigioni italiane sono 68 mila i detenuti, e un quinto di loro, il 20 per cento!, si trova in questa situazione: spesso per mesi, a volte per anni. È un dato senza riscontro in nessun paese occidentale: in nessuno stato civile la quota supera il 5-10 per cento.
Ha ragione Emma Bonino, a protestare per la massa dei detenuti in attesa di giudizio. È un’inciviltà. Ma personalmente non credo che aggiungerne uno sia stato un atto di giustizia, né di civiltà.

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