Carceri sovraffollate: e se ci pensasse la Consulta?

Non se n’è accorto nessuno, ma il dibattito sulle carceri sovraffollate, rinfocolato dalla lettera diGiorgio Napolitano, rischia di esplodere in una clamorosa bolla di sapone.

Proprio oggi, mercoledì 9 ottobre, la Consulta dovrà infatti pronunciarsi sulla legittimità dell'articolo 147 del codice penale, laddove non prevede, tra le ragioni che consentono di differire l'esecuzione di una condanna in carcere, le condizioni disumane di detenzione, cioè il fatto che la pena debba essere scontata in penitenziari che scoppiano e che non garantiscono al singolo detenuto nemmeno quei tre metri quadrati a testa indicati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.

A sollevare la questione di legittimità costituzionale sono stati i tribunali di sorveglianza di Venezia e Milano, che hanno chiesto alla Consulta quella che i tecnici chiamano «pronuncia additiva»: significherebbe aggiungere il sovraffollamento carcerario tra le cause che permettono di far slittare l'esecuzione della pena. E se dai giudici costituzionali arriverà un sì, questo permetterebbe a tutti i tribunali di sorveglianza di rimediare concretamente ai tanti casi in cui la detenzione, a causa del sovrappopolazione carceraria, si concretizzi in un trattamento disumano e degradante.

Sono stati i giudici di Venezia a porre per primi il problema: si era rivolto loro un detenuto di Padova, chiuso in una cella con uno spazio vitale inferiore ai tre metri quadrati; aveva chiesto di differire l'esecuzione della pena, visto che la sua detenzione era «contraria al senso di umanità e al principio di rieducazione», oltre che lesiva della sua stessa dignità. Simile era stata un'istanza presentata ai magistrati di Milano da un detenuto del carcere di Monza, che aveva definito tortura le modalità di detenzione subite: tre reclusi erano ristretti in una cella così piccola da non poter scendere dal letto tutti insieme; e avevano un bagno senza porta, privo anche di acqua calda. I giudici hanno chiesto aiuto alla Consulta perché la legge non prevede vie d’uscita: l'articolo 147 del codice penale consente infatti di spostare l'esecuzione della pena solo in casi specifici, come gravidanza, puerperio, Aids conclamata o altra malattia particolarmente grave. Vedremoche cosa deciderà la Corte costituzionale.

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