Riparte il calcio e la prima partita la vince Gravina

Il pallone torna a rotolare, anche in Italia e alzi la mano chi ci avrebbe scommesso anche solo un cent martedì 28 aprile, il giorno in cui la Francia - rompendo il fronte delle nazioni guida - annunciò lo stop definitivo fino a settembre. Torna il calcio, pronto a mostrare il meglio e il peggio, come tradizione. Un corposo antipasto lo abbiamo assaggiato anche nei tre mesi di lockdown, con un fronte minoritario ma assai chiassoso a spingere per la fine dei giochi e tutti gli altri (seppure in ordine sparso) a remare nella direzione opposta. Si riparte senza sapere se si arriverà in fondo, privilegio concesso ad altri, Germania in testa, ma non a noi: la spada di Damocle della quarantena obbligatoria continua a pendere sulla testa di club e tifosi anche se i vertici della Figc giurano che sia una partita non ancora chiusa con Governo e Comitato tecnico scientifico.

I NODI ANCORA DA SCIOGLIERE

Non è l'unico non ancora non sciolto della matassa in cui il presidente della Federcalcio, Gabriele Gravina, ha pazientemente messo le mani lungo tutto il periodo della serrata. C'è anche la questione della proroga dei contratti in scadenza e dei prestiti, ad esempio, che attende regole certe: un esercito di 150 calciatori sospesi che dovranno trovare accordi, caso per caso, per evitare il paradosso di squadre dimezzate nel momento cruciale della stagione. E poi c'è il tema dei piani alternativi, su cui si è combattuta l'ultima battaglia tra falchi e colombe (altra sconfitta per il partito dello stop o della prosecuzione con garanzia di non poter retrocedere) e quello nascente della presenza del pubblico negli stadi.

Fin qui il calcio italiano ha accettato passivamente l'idea di andare avanti ad oltranza con le porte chiuse, pur sapendo di dover contabilizzare circa 90 milioni di euro di mancati incassi solo per chiudere questo campionato. Altrove, però, si sta forzando la mano e gli appetiti stanno crescendo anche da noi. Sarà il prossimo fronte di scontro con il Governo.


L'aiuto del Governo al calcio: le misure salva pallone Ansa

CHI HA VINTO E CHI HA PERSO

Come ogni guerra, anche quella che si è combattuta intorno alla ripartenza del pallone italiano ha vincitori e sconfitti. Il protagonista numero uno risponde al nome di Gabriele Gravina, presidente della Federcalcio. Ha tenuto la barra (e la schiena) dritta anche in mezzo ai marosi, giurando a se stesso e agli altri che non sarebbe stato il becchino del calcio (20 aprile) e non muovendosi più da lì.

Ha calcolato danni reali e potenziali, disegnato in fretta il quadro di riferimento e tracciato una linea. Qualche fuga in avanti lo ha costretto a cambiare a volte strategia (ad esempio il primo passaggio del protocollo per gli allenamenti tagliando fuori i medici sportivi), ma intorno alla sua posizione ha costruito col passare delle settimane un consenso sempre maggiore, finendo per blindarla. Il Governo gli ha dato poteri speciali che saranno lo scudo da qui in poi.

Hanno vinto i manager della Lega (il presidente Dal Pino e l'ad De Siervo) anche se la partita più difficile sarà la prossima e cioè sistemare i conti con le tv. Hanno perso il numero del Coni, Giovanni Malagò, ostinato nel paragonare il calcio a tutti gli altri sport italiani dimenticandone il valore unico anche e soprattutto a livello economico. Ha perso il partito degli 'anti' con tutti i suoi trombettieri. Hanno perso i presidenti che speravano di tagliare i costi dei calciatori e incassare i soldi delle pay tv e quelli che per inseguire la garanzia di non rischiare la retrocessione hanno schierato tutti i mezzi a disposizione.

Hanno pareggiato il ministro Spadafora, a lungo sulla riva opposta del fiume ma poi alleato di Gravina (anche se alcune gaffes resteranno memorabili come il richiamo al 'non si gioca' degli ultras come fossero interlocutori istituzionali), e il sindacato dei calciatori. Tommasi ha cambiato posizione almeno dieci volte in tre mesi evocando tutto e il contrario. Però nel momento decisivo non ha dato sponda ai sabotatori. La sua associazione esce a pezzi e chi arriverà dopo di lui (il vice Calcagno o Tardelli) dovrà lavorare molto per restituirgli una linea politica chiara e intellegibile.

CHE CALCIO VEDREMO?

L'esperienza di chi è ripartito racconta che sarà un calcio meno fisico ma comunque di gran corsa. In Germania i più forti hanno continuato a vincere anche dopo la ripartenza, ma è saltato del tutto il fattore campo: dimezzato il segno '1' in schedina. In Portogallo, pronti via e sono cadute le big. Cosa succederà da noi? La lotta scudetto è apertissima e non si può escludere nemmeno che possa tornare ad accogliere l'Inter di Conte apparentemente tagliata fuori dalla doppia sconfitta con Lazio e Juventus: ha 5 partite casalinghe sulla carta abbordabili nelle prime 7 da giocare, recupero incluso. Se partisse a razzo...

In mezzo la situazione sembra più cristallizzata con il Milan che deve fare presto e bene per ribaltare la Juve in Coppa Italia (senza Ibrahimovic, Theo Hernandez e Castillejo) e provare ad agganciare il treno Europa. Napoli e Roma sognano rimonte, il Verona prova a vedere se regge anche senza la spinta del pubblico e le altre guardano con preoccupazione dietro. Dalla Fiorentina a scendere nessuno è salvo. Brescia e Spal sono quasi out, per le altre sarà un'estate da incubo e non è un caso che lì si annidasse il partito degli 'anti'.

TRA CHAMPIONS E MERCATO

Ultimo tema, cosa accadrà dal 2 agosto in poi ammesso che si sia arrivati alla fine della stagione senza sorprese. Juventus, Atalanta, Napoli, Inter e Roma si tufferanno nell'Europa che presenta uno scenario mai visto e imprevedibile. Se davvero si passerà alla formula della sfida secca in campo neutro (ma Juve e Napoli devono sistemare nei rispettivi ritorni le cose con Lione e Barcellona), allora tutto è possibile. Siamo in un calcio mai visto, nel quale potrà contare più la corsa della tecnica. Chi può escludere che un outsider diventi protagonista se si presenta in condizioni nettamente migliori rispetto a una big.

E poi l'intreccio col mercato che aprirà ufficialmente a settembre ma vive e lotta con noi da marzo. C'è chi sa già che andrà via (Pjanic e Lautaro Martinez), chi non ha certezze sul suo futuro e chi non sa nemmeno dove rivolgersi per provare a costruirsele. Sappiamo che sarà un mercato di scambi e finanza creativa, perché il Coronavirus lascia in eredità valutazione tagliate almeno del 30% e club in crisi ovunque. Anche le multinazionali del pallone. Tutto il resto, però, è una pagina bianca che comincia a prendere forma da questa settimana.

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