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Calcagno e Pollicardo: dopo la liberazione, il giallo del riscatto

Intervistato dal quotidiano onlineAffaritaliani.it, il presidente del Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) Giacomo Stucchi smentisce il pagamento di qualsiasi riscatto per la liberazione in Libia di Filippo Calcagno e Gino Pollicardo.

"Ho sentito del pagamento di un riscatto e ho sentito del pagamento di un riscatto in mani sbagliate. Dico solo che delle modalità di risoluzione di un sequestro come questo il Comitato che presiedo viene informato e può acquisire tutta la documentazione in merito. Per questo posso dire che non mi risulta che ci sia stata una scelta di questo tipo": queste le parole di Giacomo Stucchi.

Il racconto degli ostaggi liberati e i punti oscuri sulla morte dei colleghi


Nella stessa intervista il presidente del Copasir ha inoltre raccontato quella che è, alla luce dei dati raccolti sinora, la ricostruzione dei fatti da parte dello stesso Comitato: "In questo momento, senza disporre ancora di informazioni ufficiali puntuali, l'ipotesi più probabile è che i primi due ostaggi italiani che purtroppo sono morti fossero oggetto in quel momento di un trasferimento da una prigione a un'altra e che su quel convoglio viaggiassero anche i capi sequestratori, ovvero la linea di comando dei rapitori. La notizia dell'uccisione dei probabili capi potrebbe quindi aver convinto gli altri carcerieri - è logico ipotizzare che alcuni fossero rimasti a controllare il primo covo - che ancora tenevano in ostaggio gli altri due italiani a darsela a gambe abbandonato Pollicardo e Calcagno, i quali, avendo capito che non c'era più nessuno a controllarli, hanno sfondato la porta e sono usciti dal covo, tornando liberi".

La versione ipotizzata da Stucchi stride però nella parte finale (quella dei carcerieri in fuga, con gli ostaggi auto-liberatisi) con quanto raccontato dallo stesso Filippo Calcagno ai microfoni di RaiNews24: "Non so se sia stato pagato un riscatto. Loro (i sequestratori, ndr) sono entrati dicendo che era tutto finito. Ci hanno dato delle tute di calcio e ci hanno detto che ci potevamo vestire".

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