Brasile in piazza, ma non è Carnevale

Per tutti quelli abituati a vedere i brasiliani scendere in piazza solo per due motivi, i festeggiamenti per le vittorie della nazionale di Calcio e il Carnevale di Rio, i carioca hanno riservato una bella sorpresa. Un milione dipersone hanno manifestato nelle principali città del Paese, da San Paolo a Rio de Janeiro e Belo Horizonte, contro l'aumento dei biglietti dell'autobus.

Gli aumenti sono stati congelati, ma la gente non è tornata a casa e gli scontri continuano. Per il 30 giugno, dopo la finale della Confederation Cup, è prevista una maxi-protesta a Rio e gli organizzatori della mobilitazione sostengono che la cifra del milione verrà ampiamente superata.

Insomma, sono bastati 20 centesimi, da 3 a 3.20 reales (un aumento pari all'inflazione galoppante) per scatenare la rabbia di un esercito di brasiliani che hanno riempito le strade per gridare slogan contro il governo e per chiedere il congelamento dei costi del trasporto pubblico. Ma può l'aumento di un biglietto del bus causare una simile mobilitazione o sotto c'è qualcos'altro? La risposta è scontata. 

Nonostante l'immagine di gigante economico tra i cosiddetti paesi in via di sviluppo e di tigre delle tigri dei BRICS, la società brasiliana deve ancora acquisire la sua piena maturità e sono molte le cose che non vanno. I manifestanti della tre giorni che ha fatto tremare la presidentaDilma Rousseff non pensavano solo al trasporto pubblico, ma hanno chiesto maggiore equità sociale e un maggiore sforzo del governo per il sistema sanitario e per l'istruzione, che navigano in pessime acque.

E' la fine del lulismo, il governo socialista inaugurato dall'ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva? Probabilmente no, anche perché il sistema di Lula non ha nulla a che vedere con altri percorsi apparentemente simili che si sono sviluppati in America Latina negli ultimi anni, primo tra tutti il socialismo o muerte voluto da Hugo Chavez in Venezuela.

"In realtà la situazione del Brasile anche con Lula in carica è stata sempre completamente diversa da quella di altri Paesi socialisti in America Latina", racconta a Panorama.itTeresa Andrés, 33 anni e appena trasferita in Italia dal Brasile. "Lula è stato un leader molto amato e anche molto populista, che ha pensato principalmente a una cosa: far fare soldi al Paese", continua Teresa, che sostiene che in Brasile "in molti hanno creduto che stare bene significasse poter avere una macchina", mentre adesso "le cose sono diverse e la società è più cosciente e chiede altro".

Il concetto di sviluppo va al di là del potersi permettere un'automobile, magari anche a rate, e tocca sfere più profonde, che riguardano la vita di tutti i giorni di una classe media che in pochi anni si è trovata sbalzata da un contesto di estrema povertà a un nuovo mondo di benessere. "In Brasile i ricchi non mandano certo i figli alle scuole pubbliche", racconta Teresa Andrés, "perché le scuole pubbliche sono terribili e gli insegnanti sono totalmente impreparati. E la stessa cosa vale per gli ospedali".

Ecco che le motivazioni delle proteste che hanno scosso il Brasile vanno un po' al di là del mero biglietto del tram e puntano il dito contro il governo, soprattutto alla luce delle esorbitanti spese legate al make-up in vista dei mondiali di Calcio del 2014.

Il Brasile finora ha speso circa 7 miliardi di reales (3.2 miliardi di dollari) per rifare gli stadi già esistenti, costruirne di nuovi e adeguare le infrastrutture delle principali città del Paese. Per avere un'idea dell'ordine colossale dei numeri, basti pensare che Brasilia ha speso tre volte di più di Pretoria per i mondiali in Sudafrica. E non è un caso che su molti manifesti per le strade di San Paolo e di Rio durante la recente mobilitazione ci fosse scritto: "Stadi di prima classe e scuole e ospedali da terzo mondo".

Recentemente in altre parti del mondo, dalla Svezia alla Turchia, abbiamo assistito a rivolte di piazza. Ma il caso del Brasile è particolare. Qui nessuno si ribella a un governo troppo repressivo o autoritario e non c'è un alto tasso di disoccupazione, né conflitti di matrice razziale scuotono le fondamenta del vivere comune. Dilma Rousseff ha personalmente sostenuto le proteste, dichiarandole "legittime" e mettendosi dalla parte dei manifestanti. Eppure, la gente in piazza in Brasile è davvero molto arrabbiata.

La democrazia si è consolidata ed è stabile. I giovani sono quasi pienamente occupati e la questione razziale è praticamente inesistente, essendo il Brasile abituato a una pacifica convivenza di etnie diverse. Ma se si va a guardare ai numeri dell'economia qualcosa non torna. I brasiliani pagano le tasse più alte tra tutti i Paesi in via di sviluppo (una media del 36%) e in cambio hanno servizi pubblici ai limiti della decenza.

Come se non bastasse, la criminalità è ancora molto presente, così come la corruzione a diverse livelli della società e della burocrazia. A San Paolo (la Milano del Brasile) un impiegato con un stipendio minimo spende un quinto del suo salario per recarsi al lavoro su mezzi pubblici obsoleti e sovraffollati, che collegano le periferie al cuore della città.

Per questo, quando il prezzo del biglietto del bus è aumentato la classica goccia ha fatto traboccare il vaso. A questo si aggiunge un'impennata nell'inflazione che non ha visto parimenti aumentare gli stipendi del ceto medio, che rappresenta la maggioranza del Paese e che ancora percepisce salari modesti. A fronte di ciò, le politiche di Lula hanno creato un popolo di consumatori, ma in momenti difficili le carte di credito presentano il lato oscuro della medaglia.

Immaginiamo circa 40 milioni di persone che nell'ultimo decennio passano da una condizione di assoluta povertà a una situazione di benessere. Nel 2009 per la prima volta le statistiche hanno indicato che più della metà della popolazione brasiliana può rientrare nella definizione che si dà di classe media. Adesso quella middle class, che solo fino a poco tempo fa era incredula di fronte a tutta la ricchezza in arrivo, si aspetta anche un ritorno in termini politici e governativi e ha preso coscienza di quello che può chiedere e di quello che gli spetta.

Non solo un'automobile da comprare a rate, ma anche servizi pubblici adeguati a un ceto che si è lasciato alle spalle la povertà e che guarda al futuro con occhi pieni di ottimismo. E forse il trionfalismo del governo per i mondiali di Calcio non è stato mandato giù. Meglio ospedali efficienti che spogliatoi alla moda per i campioni del pallone. Maturare e diventare un Paese sempre più sviluppato per la classe media significa anche questo. Meglio autobus decenti e poco costosi che la Copa, dicono a Rio. Ed è la prima volta.

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