«Bisognerebbe spalancare gli occhi e per far ciò ci vuole esercizio». (Anche) Kafka nel bordello

Non è soltanto a causa di un non so quanto confessabile istinto morboso nei confronti del tema e delle persone coinvolte che, come ho fatto per Nietzsche e Freud, oggi riporto l’episodio di Kafka che si reca in un bordello di Parigi, raccontato da lui stesso nei suoi appunti di viaggio dell’estate 1911. È più perché la stupefacente somiglianza della trama, degli snodi narrativi e della reazione di Kafka con quella degli altri due fondatori della civiltà occidentale, scavatori degli abissi del ‘900, non esclude ma anzi esige un trattamento a parte.

Primo: perché è Kafka. Secondo: perché il contesto in cui si trova – il contesto di pubblicazione – sono quei Confessioni e diari che includono i ricordi di viaggio, gli appunti e le annotazioni che precedono il divenire Kafka di Kafka. Il racconto del bordello, che si trova – significativamente – tra due paragrafi che parlano della visita al Louvre, è stato scritto tra il venerdì 8 settembre e il lunedì 11. Non vi succede niente: tutto quello che è importante sapere si svolge a metà del brano; dopodiché, è la soggettività di Kafka che prende il sopravvento, la tirannia ottica che impone alle cose. Se è rapido e secco almeno quanto è concentrico e ipnotico, è a causa della tenaglia che la biologia di Kafka applica alla sua biografia: ne avrete contezza leggendolo.

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