Bisignani, Beppe Grillo e la longa manus degli Stati Uniti

Periodicamente, per spiegare le vicende di casa nostra, riaffiora la longa manus degli Stati Uniti d'America. Chiamatela teoria del complotto, chiamatela dietrologia. Fatto sta che anche di recente il libro intervista di Luigi Bisignani al giornalista Paolo Madron - L'uomo che sussurra ai potenti - ha riportato in auge il complottismo a stelle e strisce. Secondo il faccendiere italiano, dietro l'ascesa di Grillo ci sarebbe lo stesso Paese che agli inizi degli anni Novanta accompagnò la discesa in politica di Antonio di Pietro. Tesi certo suggestiva per chi non si accontenta delle spiegazioni semplici, lineari, e al rasoio di Ockham predilige il cospirazionismo internazionale.  Ma come l'hanno presa a via Veneto?

Le dichiarazioni che trapelano sono trancianti. "Spesso gli osservatori italiani attribuiscono alle nostre azioni delle motivazioni che riflettono più la loro visione che non la nostra". Pare che dopo l'uscita delle prime agenzie sul libro di Bisignani la domanda più diffusa sia stata la seguente: "Bisignani who?", il nome del faccendiere italiano era perlopiù sconosciuto. Ad ogni modo la questione è stata giudicata "irrilevante", tanto da non dar seguito, pare, neppure ad un dispaccio ufficiale a Washington.

Gli americani si sono abituati alla dietrologia all'amatriciana. Pochi mesi fa è stato l'ex senatore dell'Idv Sergio De Gregorio a tingere di giallo la caduta del governo Prodi tirando in ballo gli Usa: un pranzo nell'estate del 2007 con il capocentro della Cia a Roma e l'allora ministro della giustizia Clemente Mastella per far capitolare il governo di centrosinistra.

Dalle parti di via Veneto tali ricostruzioni vengono etichettate come "pura fantasia". La Prima Repubblica, quando l'interventismo americano c'era eccome, è finita da un pezzo. "Durante la Guerra fredda il rapporto con l’Italia riguardava piu spesso gli sviluppi interni, ma ormai da tempo non è più così", fanno sapere fonti dell'Ambasciata. Quello che invece conta è la posizione strategica del nostro Paese nel Mediterraneo. E anche in politica estera oggigiorno le differenze tra i principali schieramenti si sono di fatto assottigliate.
Per il resto, intrattenere rapporti con esponenti di ogni partito politico "rientra nei compiti istituzionali di un'ambasciata. Siete voi a scegliere i leader, a noi tocca avere rapporti con loro". Cinque degli attuali ministri si sono recati a Washington su invito dell'ambasciata quando erano ancora dei giovani dirigenti politici. De Gregorio in qualità di presidente della Commissione difesa era certamente una persona nota alla rappresentanza americana. Così come Grillo e il suo movimento sono stati oggetto di un approfondimento in forza della loro rilevanza politica. "Abbiamo contattato i capigruppo di tutti i soggetti politici presenti in Parlamento, ma negli altri casi non abbiamo suscitato lo stesso interesse dei media". A ciò si aggiunge la passione per la Rete dell'ambasciatore David Thorne, che nel 2004 gestì la campagna Internet di John Kerry. Sotto la sua guida l'ambasciata ha amplificato l'uso dei social network.

Se è vero che "paese che vai, usanze che trovi", c'è da dire che, quanto a dietrologia, anche gli americani hanno le proprie grane:  dai "veri assassini" di J F Kennedy alle "vere origini" di Barack Obama.  Per alcuni sarebbe nato in Kenya, per altri in Indonesia. Certe "usanze", come dire, non hanno confini.

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