Biologico a chilometro 1500

Dicono che con il passare degli anni siamo costretti a rivedere le nostre certezze, a ritarare i nostri punti di riferimento, e cambiare opinione o prospettiva sulle cose. Effettivamente è quello che è successo a me con la Danimarca. Se penso alla Danimarca penso al calcio degli anni ottanta, ero ragazzino e la Danimarca divertiva assai anche senza vincere nulla. Penso alle fiabe di Andersen, o ai film di Lars Von Trier. Non sapevo che in Danimarca venissero coltivate delle eccellenti carote biologiche. Davvero questo particolare mi sfuggiva. Non si finisce mai di imparare.

Eppure in questi giorni, negli scaffali di alcuni supermercati, tra le prime zucche e le ultime zucchine trovano posto le carote biologiche dalla Danimarca.

Purtroppo la mia religione (non sforzatevi, è una battuta) mi impedisce di consumare ortofrutta a chilometro 1500, ma sarei curioso di capire secondo quali paradigmi l’azienda commerciale e la catena distributiva abbiano deciso di mettere in vendita le carote bio della Danimarca.

Come da foto, il prodotto costa pure caro, non fosse altro che per la strada che percorre. E qui sorge il dilemma amletico che potrebbe animare anni e anni di dibattito: meglio la carota bio dalla Danimarca che percorre 1500 chilometri o meglio la carota a coltivazione integrata dietro casa?

La risposta sta nella domanda, quel che resta di questo aneddoto è che ancora oggi, nel 2013, nonostante le campagne di sensibilizzazione delle associazioni di categoria, degli ambientalisti, delle catene di distribuzione, c’è ancora chi evidentemente non resiste al fascino della carota danese, o delle cipolle marocchine, o delle patate argentine.

Per la cronaca, le carote locali, acquistate direttamente dai coltivatori e maturate completamente in pianta, costano 2 volte e mezzo di meno. Ma nel cuore ho ancora le prodezze di Laudrup e Elkjaer agli europei dell’84.

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