Basta con gli ostaggi della vergogna

Adesso basta. Gli europei devono smettere di pagare per la liberazione degli ostaggi catturati da Al Qaeda. Questo il messaggio, chiaro come il sole, che arriva da Washington e Londra attraverso le pagine d’inchiesta del “New York Times” e del “Wall Street Journal” che pubblicano proprio nello stesso giorno due formidabili inchieste sugli ostaggi occidentali e il pagamento dei riscatti (che le cancellerie europee si ostinano a negare): il business dei rapimenti è quello che foraggia le campagne jihadiste con una regia unica in Pakistan ma con la manovalanza che opera nel Nord Africa (specialmente nel deserto algerino e in Mali) e nello Yemen. Fino a 125 milioni di dollari in riscatti fra il 2004 e il 2012 (soprattutto da francesi, tedeschi, svizzeri ma anche italiani) avrebbero foraggiato il reclutamento di nuove leve islamiste e l’armamento di gruppi in bolletta, che stavano quasi per vendere i loro Kalashnikov. Non solo. Americani e britannici sono stufi di dire “no” ai negoziati e poi vedere i loro cittadini uccisi e i compagni di prigionia europei rivedere le famiglie grazie alla consegna di valigie zeppe di banconote nel deserto, con la mediazione soprattutto del Qatar. Il sospetto è che in qualche caso sia stata fatta la cresta non solo dai mediatori locali ma anche dai qatarini.  

Formidabili le ricostruzioni del WSJ e del NYT, frutto di mesi di indagini sapientemente innescate da evidenti “soffiate” di Washington e Londra: interviste con ex ostaggi di Al Qaeda, con diplomatici occidentali e alti esponenti dell’amministrazione americana (il vicesegretario di Stato al Tesoro per l’intelligence finanziaria e un ex ambasciatore in Mali). Alcune sottolineature morali rivelano tutto il disprezzo, il disgusto, la frustrazione per la “doppia” linea tenuta sui sequestri dagli europei continentali che pubblicamente negano ma in segreto (non troppo segreto, come si vede) sborsano. Per esempio quando il NYT sottolinea un episodio in Algeria nel quale “anche se gli europei sopravanzavano per numero i rapitori, non hanno mai cercato di scappare durante quella che è diventata per alcuni di loro una ‘prigionia a cielo aperto’ di sei mesi”. E nonostante “le nazioni europee avessero una potenza di fuoco superiore a quella dei lacunosi mujaheddin, hanno sempre pensato che una missione per liberarli fosse troppo pericolosa”. Vigliacchi, insomma. Sia gli ostaggi, sia chi doveva liberarli. Emblematico il caso del britannico 61enne Edwyn Dyer, catturato nel Mali insieme a una tedesca e una coppia svizzera. Il governo britannico disse e confermò che non avrebbe mai pagato il riscatto per lui. Dyer fu ucciso il 31 maggio 2009 alle 7 del pomeriggio, come informò subito un comunicato di Al Qaeda: “A quanto pare la Gran Bretagna non attribuisce grande importanza ai suoi cittadini”. Quanto agli svizzeri e alla tedesca, furono liberati dietro il pagamento di 8 milioni di euro. Il riscatto-record sarebbe però dei francesi: 30 milioni di euro per 4 connazionali nel 2013 in Mali. In totale, su 53 ostaggi catturati da Al Qaeda negli ultimi 5 anni, un terzo sono francesi, un quinto austriaci, spagnoli e svizzeri, e solo il 5 per cento americani. Il che dimostra, secondo il NYT, che la politica di non pagare riscatti alla fine premia. Al Qaeda non cattura più inglesi e yankee, ma si concentra sui continentali. David S. Cohen, sottosegretario al Tesoro USA: “Ogni transazione ne chiama un’altra, il rapimento per ottenere un riscatto è diventato la fonte più rilevante di finanziamento del terrorismo”. Ce n’è anche per l’Italia, da sempre sul banco degli imputati perché nel suo Dna c’è la trattativa (le autorità italiane, come quelle francesi e degli altri paesi, negano ufficialmente, seccamente, il versamento di qualsiasi riscatto). È il caso di Mariasandra Mariani di San Casciano Val di Pesa. Il NYT ricorda che la madre ottantenne non dormiva più nel suo letto ma bivaccava davanti agli studi televisivi e il marito, padre di Mariasandra, non faceva che scoppiare in lacrime “senza ragione”. Allo stesso modo, il fratello di un ostaggio francese detenuto per un anno in Siria “si è preso un’ulcera”. Una pressione mediatico-emotiva che l’opinione pubblica e i governi europei (continentali) non sono in grado di sopportare. 

Adesso basta. 

YOU MAY ALSO LIKE