Gli uomini d'oro di Banca d'Italia

E' bellissima, la Costituzione italiana. A un certo punto recita perfino: «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme». Oddio, per chi è scaramantico, il fatto che l’articolo in questione sia il numero 47 (’O muorto, nella Smorfia napoletana) potrebbe suonare come un avvertimento. Però promettere «tutela» è sempre meglio che dire: «La Repubblica lascia a sé stesso il risparmiatore». Come invece è avvenuto in questi ultimi cinque anni (a parte il decreto di Pasqua per i truffati meno abbienti) per mezzo milione di famiglie coinvolte nei crac delle due Popolari venete, delle quattro Casse «risolte» a dicembre del 2015 (Popolare Etruria, Banca Etruria, CariFerrara e Carichieti), o per i risparmiatori che hanno perso tutto o quasi con Monte dei Paschi e Carige.

Dietro ogni crisi, però, si nascondono sempre grandi occasioni di guadagno e tra queste non si raccontano mai le imprese di un ristretto drappello di grandi professionisti delle magagne bancarie. Sono i commissari, avvocati e commercialisti di assoluta fiducia della Vigilanza e del governatore Ignazio Visco, temuti e rispettati nel mondo del credito, ascoltati con riverenza dai magistrati (spesso pm di piccole procure) e che poi, tra un commissariamento e l’altro, offrono consulenza alle varie banche in tema di fusioni e acquisizioni, o addirittura su come tenere i rapporti con le autorità di vigilanza.

«Il mondo è la mia ostrica, e io l’apro con la spada», fa dire Shakespeare a Pistol nelle Allegre comari di Windsor, tre secoli e mezzo prima della Costituzione della Repubblica italiana. E loro, gli uomini d’oro di Bankitalia, sanno come aprire l’ostrica delle banche finite in cattive acque con il calibrato uso di leggi, regolamenti, direttive e decreti.

Il caso di cui si parla di più in questa primavera è quello di Carige, dalla quale il fondo Usa Blackrock è scappato a gambe levate. A Natale scorso, Bankitalia e Bce trasformano in commissari i due manager che stavano combattendo con i grandi soci per l’aumento di capitale, ovvero Fabio Innocenzi e Pietro Modiano, e affianca loro Raffaele Lener. In più, istituisce un comitato di sorveglianza composto da Gianluca Brancadoro, Andrea Guaccero e Alessandro Zanotti. Due di questi, Lener e Brancadoro, hanno gestito i principali problemi bancari degli ultimi anni.

Lener, romano, 49 anni, insegna diritto privato a Roma-Tor Vergata e ha liquidato per conto di Bankitalia due banche arabe come l’iraniana Sepah e la Ubae Arab Bank. Prima, era stato commissario del Credito triestino. Nel suo curriculum esibisce anche queste competenze: «Assistenza a istituti di credito nel contenzioso, nonché nell’ambito di piani di ristrutturazione (di crediti bancari); consulenza generale a istituti di credito quotati; assistenza nella stesura di piani di recovery e resolution». E in queste settimane, Lener è il legale che sta assistendo Banca Igea, l’erede di Banca Nuova, nel salvataggio della Banca del Fucino.

Molto attivo anche l’avvocato Gianluca Brancadoro, napoletano, 62 anni, cattedra di diritto commerciale a Teramo. Nei primi anni Novanta è stato vicecommissario della Federconsorzi, poi è stato commissario della Popolare di Spoleto, della Banca di Pistoia e della Banca etrusca salernitana, ex consigliere dell’Isvap, promotore della sfortunata Banca del Mezzogiorno per conto del ministero dell’Economia, consigliere della Sga, la società che gestisce le garanzie del Tesoro alle banche in difficoltà. E ora è a Genova, dove forse alla fine dovrà intervenire lo Stato. Come a Siena.

Il decano riconosciuto di questa particolare congregazione laica è comunque Bruno Inzitari, settant’anni, cagliaritano di nascita, ma milanese di adozione, cattedra di diritto civile alla Bicocca. Per rimanere agli ultimi anni, è stato commissario di CariFerrara, di Banca Marche, della Delta di San Marino e della milanese Banca Mb. Nel suo studio, lavora Anna Maria Paradiso, avvocato che ha guidato il commissariamento di Banco emiliano romagnolo e si è occupata di San Marino e delle sue banche. Il professore sardo è stato anche scelto dal Tribunale civile di Vicenza come consulente tecnico per stabilire l’insolvenza della banca guidata per un ventennio da Gianni Zonin, accertata solo a gennaio di quest’anno. Alle competenze giuridiche indiscusse, Inzitari unisce anche un asset familiare non da poco, perché la moglie, Tiziana Togna, dal 2011 è capo della divisione della Consob che vigila su intermediari e promotori finanziari. Una vigila, l’altro risolve.

Un altro professionista abituato a risolvere qualunque pasticcio è Giambattista Duso, commercialista padovano, senior advisor della società di consulenza Grant Thornton. Ex manager di Antonveneta e Monte Paschi, tra il 2013 e il 2014 viene spedito nel cuneese a commissariare un piccolo istituto, Bene Banca, che è poi diventato l’emblema del doppio binario di Via Nazionale; debole con i forti e forte con i deboli. La banca era sana e fu commissariata per qualche decina di posizioni irregolari sull’antiriciclaggio. Nell’anno di commissariamento, Duso ha fatto a tempo a far investire il grosso della liquidità in azioni della Popolare di Vicenza, il tutto essendo anche a.d. di Marzotto sim, a sua volta partecipata dalla Vicenza. Del resto Duso aveva molte conoscenze, visto che nel 2010 era stato nominato amministratore delegato della Centrale finaziaria generale, con Giancarlo Elia Valori come presidente e Andrea Monorchio, ex ragioniere delle Stato e vicepresidente di Pop Vicenza, nel collegio sindacale. E da due anni, l’ex commissario Duso si occupa di crediti bancari deteriorati con una società privata, la Turnaround management.

Altro uomo di assoluta fiducia di Bankitalia è Nicola Stabile, ex ispettore della vigilanza, in passato di scena anche a Vicenza in una delle tante, inutili, ispezioni nel reame di Zonin. Nel 2013, Stabile viene mandato a commissariare la Spoleto, insieme a Brancadoro e a Giovanni Boccolini. In meno di un anno e mezzo fanno un po’ di pulizia e consegnano l’istituto umbro al Banco Desio, come da suggerimenti di Via Nazionale, ma tra mille polemiche per le cordate scartate.

Alla Cassa di risparmio di Chieti, nel 2015, sono invece stati mandati Francesco Bochicchi e Salvatore Immordino. I due professionisti, a fine 2017, risultavano indagati per bancarotta perché avrebbero svalutato e venduto crediti a prezzi esageratamente di saldo, poco prima della risoluzione. Ma dell’indagine si sono perse le tracce. Al contempo, nella sua attività pubblicistica, Bochicchio non manca mai di lodare Banca d’Italia («Gestione delle crisi impeccabile»), mentre nel sito del suo studio legale, tra i servizi offerti, giustamente campeggia «la gestione dei rapporti della banca con gli organi di vigilanza». Invece Immordino, che oltre che a Chieti è stato commissario della Bcc Padovana e della Bcc San Francesco, siciliana, ora è amministratore delegato di Rev, la società di Bankitalia che si occupa proprio di Npl.

Ha schivato un paio di indagini anche il ragionier Riccardo Sora, che ha fatto il commissario a Banca Etruria, alla Carim di Rimini, nella Tercas poi rifilata alla già debilitata Popolare di Bari e a Carichieti. Cresciuto in Ubi, 68 anni, Sora è uno degli uomini più discreti e fidati della Vigilanza di Bankitalia. Ben più noto Alessandro Leproux, avvocato ternano con studio a Roma, 64 anni, ex liquidatore di Veneto Banca, ex consigliere del Credito fiorentino di Denis Verdini, ex commissario della Banca di Romagna e membro dell’Arbitro bancario su designazione di Via Nazionale al fianco di Giuseppe Conte, poi diventato premier.

Oltre al prestigio innegabile di lavorare per Bankitalia, e ai clienti che si ottengono accorrendo laddove esplodono i bubboni bancari, i commissari vengono ovviamente retribuiti per il lavoro che svolgono. I compensi li fissa Bankitalia, ma li pagano le banche vigilate. A quanto ammontino è un segreto, ma scavando nei bilanci, talvolta capita di riuscire a scorporare dal generico «costo degli organi amministrativi» quello dei commissari. Per esempio, dai bilanci 2014-2015 di Bene Banca, si ricava che il commissario e i tre membri del comitato di sorveglianza hanno incassato poco meno di 600 mila euro per un anno di lavoro, ovvero il doppio di quando prendevano i nove membri di cda e collegio sindacale. Secondo la logica per cui se gli amministratori di prima hanno fatto pasticci e sono costati dieci, con le vacche magre arrivano i «buoni» e si prendono venti. Succede anche questo, quando si sanno aprire le ostriche.

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