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Carino Imagoeconomica
Economia

Bad bank: cos'è e chi se ne avvantaggia

Bad Bank, la banca cattiva, è la soluzione per liberare le banche dai crediti deteriorati ed evitare il crac.

È prevista dalle norme di risoluzione approvate la scorsa settimana per salvare CariFerrara, Banca Marche, Banca Etruria e CariChieti, le quattro banche dell'Italia centrale commissariate da tempo, evitando così di addottare il bail in, il nuovo meccanismo voluto dall'Europa, che scarica i costi del salvataggio degli istituti di credito sui privati.

Il bail in entrerà in vigore dal primo gennaio e prevede il coinvolgimento dei soci, degli obbligazionisti e dei correntisti sopra i 100.000 euro.

In tutto, per risanare i quattro istituti e rimetterli sul mercato serviranno 3,6 miliardi: 1,7 miliardi a copertura delle perdite delle banche originarie, recuperabili forse in piccola parte, mentre 1,8 miliardi saranno necessari per ricapitalizzare le banche-ponte, che finiranno all'asta con l'obiettivo di recuperare questa somma con la vendita, e 140 milioni andranno a dotare la bad bank del capitale minimo necessario a operare.

BANCA MARCHE, ETRURIA, CARIFE E CARICHIETI: COSA RISCHIANO I CORRENTISTI

Cos'è la banca cattiva
Da un punto di vista tecnico, è una nuova società (bad) in cui far confluire le sofferenze degli istituti in difficoltà, che saranno poi rivenduti sul mercato, mentre la parte buona si occuperà delle parti sane dell'attività di credito.

L'uso di questo termine risale agli anni successivi alla crisi finanziaria del 2008, con l'idea dell'amministrazione Obama di creare una banca ad hoc per alleggerire gli istituti dai titoli tossici difficili da smaltire.

In Italia non è novità: a cavallo degli anni duemila il Sanpaolo IMI nel processo di salvataggio del Banco di Napoli si servì di un veicolo terzo (la Società Gestione Attività) per recuperare i crediti in sofferenza.

Nel caso delle quattro banche commissariate, il nuovo veicolo si accolla 8,5 miliardi di euro di crediti deteriorati. Svalutati a 1,5 miliardi di euro, dopo essere stati certificati, saranno ceduti rapidamente sul mercato a società specializzate.

Le banche buone (o banche-ponte), invece, rinascono con il titolo "nuovo" posto davanti al vecchio nome: via libera, quindi, a Nuova Banca Marche, Nuova Banca Etruria, Nuoca CariFerrara e Nuova CariChieti.

Avranno cda snelli, in cui siederà anche la responsabile di S&P in Italia, Maria Pierdicchi, e saranno presiedute da Roberto Nicastro, ex d.g. di UniCredit.

Una volta ripulite, l'accordo con la Ue prevede la loro vendita per recuperare parte dell'impegno finanziario immediato del Fondo di Risoluzione. Quest'ultimo strumento è previsto dalle norme Ue ed è amministrato da Bankitalia.


SALVATAGGIO DELLE BANCHE: 5 COSE DA SAPERE

Chi perde con il salvataggio
Non sarà chiesto allo Stato e, quindi, ai contribuenti di mettere mano al portafoglio: a differenza di Mps, che ha potuto usufruire di aiuti pubblici sotto forma dei Monti bond, il salvataggio dei quattro istituti non pesa sui conti pubblici.

Il meccanismo di risoluzione, infatti, prevede che il costo sia a carico del sistema bancario, dei soci e dei possessori di titoli più rischiosi.

Si salvano, quindi, i depositi, i conti correnti e le obbligazioni ordinarie, ma non gli azionisti e i titolari delle obbligazioni subordinate

A rimetterci sono prima di tutti le Fondazioni azioniste: si stima una perdita di oltre 240 milioni di euro solo per quanto riguarda le quattro Fondazioni ex proprietarie di Banca Marche (Cr Jesi, Cr Pesaro, Cr Fano e Cr Macerata), la più grande delle quattro banche salvate.

La situazione più critica è però a Ferrara e Chieti: le partecipazioni nelle rispettive banche pesavano rispettivamente per l'80 e il 78% del totale attivo nell'ultimo bilancio dei due enti; le perdite ammontano a 72 e 77 milioni di euro.

Ma la stangata arriva anche al sistema bancario, tanto da spingere l'Abi a sottolineare in un comunicato "i grandi e assai onerosi sforzi che le banche in Italia assumono ulteriormente per salvare le quattro banche".

A partire dai tre principali istituti italiani, Intesa Sanpaolo (che è anche azionista per il 5,84% di Banca Marche e per il 20% di CariChireti), UniCredit e UBI Banca, che hanno anticipato 1,6 miliardi necessari al Fondo di Risoluzione per iniziare immediatamente a operare, a tassi di mercato e con scadenza massima di 18 mesi.

A garantire il rimborso alle tre grandi banche sarà la Cassa Depositi e Prestiti in caso di incapienza del Fondo alla data di scadenza del finanziamento.

Gli altri 2 miliardi provengono dai contributi di tutto il sistema bancario al fondo, con una rata annuale di 600 milioni di euro rinnovabile per altre 3 volte.

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