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Al Qaeda, l’Islam e la strada verso Baghdad

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ISIS o ISIL che dir si voglia, cioè lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (o della Siria), altrimenti noto come Daesh, è una sigla di cui abbiamo già avuto modo di parlare e che rappresenta l’alternativa ad Al Qaeda nel nuovo decennio. Si badi bene, alternativa ad Al Qaeda e non una nuova Al Qaeda. Oggi, la storica organizzazione terroristica internazionale che ha avuto il suo apice sotto la guida di Osama Bin Laden e che ha conosciuto massima espansione all’indomani dell’11 settembre 2001, non esiste più.

Certo, esiste un nuovo leader, l’egiziano Ayman Al Zawahiri, ed esistono ancora forti motivazioni che spingono parte del mondo islamico radicale a seguire il successore di Osama. Ma, territorialmente, Al Qaeda non ha più la forza né la disponibilità finanziaria che ai tempi di Bin Laden consentiva ad esempio di stipendiare mensilmente i soldati del terrore.

Così oggi, al suo posto, sono sorte come per gemmazione spontanea numerosissime realtà locali che sfruttano il brand qaedista solo per avere più visibilità, forza attrattiva ed “effetto terrore”, ma che in realtà agiscono mosse unicamente da interessi politico-economici e non dispongono del network creato dal leader saudita.

I nuovi movimenti qaedisti

Lo abbiamo visto in Mali, dove AQIM (che sta per Al Qaeda nel Maghreb Islamico) e MUJAO (il Movimento per l’Unicità e il Jihad in Africa Occidentale) tra il 2012 e il 2013 hanno tentato di creare uno stato islamico e hanno distrutto con la loro furia iconoclasta i segni di una parte dell’Islam che loro rifiutano, mentre puntavano anche all’Algeria.

Lo abbiamo visto parzialmente nella complessa situazione della Libia, dove i partigiani di Ansar Al Sharia si sono impossessati di alcune città nell’est e dove ancora oggi sono attivi e lottano per imporre la legge islamica in quella parte del Paese che riconoscono come propria.

Lo abbiamo visto in Nigeria, dove il sanguinario gruppo Boko Haram (che significa “la cultura occidentale è peccato”) ha già mietuto migliaia di vittime e terrorizza il nord-est del Paese con azioni spettacolari, come il rapimento delle oltre duecento studentesse per le quali chiedono un riscatto.

Altri esempi potremmo citare, ma certamente il quadro si fa più chiaro quando guardiamo agli esempi della Siria e dell’Iraq. Qui il fallimento degli stati-nazione arabi, come progetto di progressiva secolarizzazione e stabilizzazione del potere, ha provocato quale risultato il risveglio dell’Islam radicale, che non intende riconoscere i confini geografici attuali né rispetta altra autorità se non quella prevista dall’interpretazione del Corano.

Sciiti contro Sunniti
In ogni caso, guardare a questi movimenti islamici come ad Al Qaeda è come guardare il dito e non vedere la luna. Ciò è particolarmente vero per Iraq e Siria. Qui, infatti, la guerra che si sta portando avanti è espressamente una lotta intestina tra sunniti e sciiti, ossia le due anime dell’Islam che si combattono sin dal giorno della scomparsa del profeta. Volendo seguire una suggestione, lo Hadith, la legge orale islamica, nel citare le parole di Maometto ammoniva “la mia nazione si dividerà in 72 fazioni, solo una sfuggirà all’inferno”. Il problema è quale delle fazioni raggiungerà il paradiso.

Ed è questo che si chiedono oggi i militanti di ISIS, convinti di essere destinati al potere perché il sunnismo è la vera fede. I suoi combattenti sono in gran parte ex membri del partito Baath ed ex soldati del vecchio regime iracheno, che tanto filo da torcere hanno dato agli americani in passato e che adesso non accettano di vivere sotto il potere sciita e mal digeriscono che la minoranza sciita dell’Islam sia al potere nei luoghi sacri del Medio Oriente (i sunniti rappresentano nel mondo circa il 70% dei musulmani).

Lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante è di matrice esclusivamente sunnita e punta a eliminare tutti gli sciiti che sono al potere sia in Siria (dove, insieme alla variante alawita, lo sciismo rappresenta il 35% della popolazione) che in Iraq (dove il 65% degli iracheni è sciita), anche se questo dovesse significare un bagno di sangue. Perciò si sono attestati nel nord della Siria e in Iraq e adesso contano di arrivare fino a Baghdad e magari conquistare l’intero Paese.  Altro non c’è in questa guerra. Sunniti e sciiti stanno combattendo una “guerra dei trent’anni” dove una fazione intende imporsi sull’altra e gestire il potere sia spirituale che temporale.

La strada verso Baghdad
Il pericolo è ora il coinvolgimento degli altri attori regionali. L’Iran, baluardo sciita, non permetterà mai ai sunniti di impossessarsi di un Paese strategico come l’Iraq, mentre la Turchia potrebbe approfittare del caos per tentare di rovesciare Assad in Siria e ancora non sappiamo quale ruolo giocheranno l’Arabia Saudita, principale centro dei sunniti, e Israele. Il disastro si compierebbe nel momento in cui dovesse cadere Baghdad. Certo è che se ISIS può conquistare una città come Mosul (oltre mezzo milione di abitanti) e consolidare la sua presenza a cavallo tra Siria e Iraq, la creazione di uno Stato Islamico vero e proprio nel cuore del Medio Oriente si avvicina.

Che cosa farà adesso il maggior contribuente del disastro iracheno, ovvero l’America? E il suo comandante in capo, presidente Barack Hussein Obama, avrà l’ardire di marcare un’altra linea rossa o si deciderà a finire il lavoro mal fatto e incompiuto dei suoi predecessori?

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