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Abusi, Viganò, Papa Francesco: la Chiesa torni meno mediatica e più chiesa

Non mi intrometto e non offro consigli al papa, sarebbe ridicolo, e la funzione è già riempita da tanti, sebbene con astuta dissimulazione. Dico solo che mi sarebbe piaciuto un colpo a effetto. Francesco va in Irlanda e parla di Cristo, di san Patrizio e del suo trifoglio che spiegava la Trinità, almeno secondo la leggenda, e insiste su un dettaglio decisivo: per quanto male e per quanta sporcizia possa essere esistita nella Chiesa irlandese, che è in espiazione dai tempi della magnifica lettera di Benedetto XVI, e per quanto quella società sia cambiata dai tempi di san Giovanni Paolo II, quando erano inimmaginabili aborto, matrimonio omosessuale e un primo ministro apertamente gay, i cattolici hanno fatto l'Irlanda e gli irlandesi nel mondo almeno quanto l'Irlanda e gli irlandesi hanno fatto la cattolicità, valore universale incarnato e incardinato in quella terra.

La comunicazione l'arma di amici e nemici del Papa

Joyce e Beckett non amavano la Chiesa cattolica, e avranno avuto le loro ragioni, peraltro scritte con munificenza e stile e gloria. Ma ne rispettavano l'autorità anche quando la combattevano con il loro libertinismo ateo e novecentista. Non è autorità civile, canonica, è autorità mistica e liturgica, quella della Chiesa. E l'equivoco secondo il quale il suo ordinamento è parallelo a quello del mondo secolare, e i suoi comportamenti si giudicano alla stregua di quelli delle Ong, va sciolto.

La lettera dell'arcivescovo Viganò, che ha messo sotto accusa l'intero vertice della Chiesa, a partire dal vertice del vertice, può ben essere un atto di guerra interna in cui confluiscono invidie, spettri del potere clericale, degli apparati, della curia che può figurare come "la lebbra della Chiesa", parole di Francesco, ma c'è qualcosa di profondo che non funziona se le accuse di omosessualità, di abuso sui minori, di coperture degli abusi diventano uno strumento di battaglia politica e curiale di forza e tempra tanto incandescente, e se raggiungono tutto il vertice dell'istituzione, compreso il suo sacrale Buon pastore.

L'impressione è che ormai tutto sia, come si dice con orrendo termine, "mediatizzato", che amici e nemici del Papa si servano della comunicazione per ricominciare il gioco assurdo che portò quel grande Papa teologo, mite, protocollare, di stile rinascimentale, alla Renuntiatio. Le questioni di dottrina, di pastorale, di evangelizzazione, di etica pubblica e di libertà di culto e culturale passano regolarmente in secondo piano, la Chiesa è ovunque sulla difensiva, è costretta ad arroccarsi e a partecipare al processo mondano contro i preti, che come categoria, categoria maschile celibe, sono additati, in una spietata e falsa generalizzazione, al disprezzo etico e morale pubblico.

Perché la chiesa serve ancora

Chi tra i giornalisti e i mentori del nuovo corso postratzingeriano ha favorito la trasformazione della Chiesa in un'agenzia di comunicazione non ha interesse oggi a difendere il papato popolare, amabile, misericordioso e vicino al cuore d'amore del secolo. Lo lasciano affondare. Chi aveva dei dubbi, come me, è invece preoccupato. La chiesa serve. Ha esperienza della storia e della vita. È un organismo collettivo legato a regole, canoni universalistici, e a un'idea di persona, come centro di relazioni e rapporto con l'altro, scomparsa la quale tutto ridiviene possibile, compresa una forma di totalitarismo laicista che ci farà vedere i sorci verdi.

Un mondo senza preti e senza ordini e senza università cattoliche, senza seminari, senza educazione, solidarietà, formazione dei giovani, un mondo senza l'autorità dei monaci, delle loro biblioteche antiche, senza tonache svolazzanti nella libertà del meglio del pensiero cristiano, per quanto il tutto si vada rinserrando nei limiti di una minoranza di tradizione bimillenaria, un mondo così non è un mondo liberato dalla menzogna, dalla credulità popolare, dalla devozione superstiziosa: un mondo così è un mondo peggiore di quello che abbiamo conosciuto, è un mondo senza contraddizione, in cui l'ideologia secolarista si fa pensiero dominante senza sforzo, ed è implicito in questo vaso chiuso che i preti siano nemici dell'umanità, della gioventù, e che la Chiesa sia il ring, la rete criminale pedofila che parte della grande stampa occidentale, la parte decisiva, ha deciso e voluto che fosse, con la complicità di chi la Chiesa non ha saputo difenderla.

Nessuno oggi nella Chiesa è in grado di sfuggire alla gogna o alla minaccia della gogna. La paura regna sovrana. E non è una questione di carriere ecclesiastiche. È la libertà di una società pluralista che viene messa a sacco, come quando furono distrutti i templi e le tombe cristiane nel corso della Rivoluzione francese, attraverso l'insinuazione di una connaturale tendenza all'abuso e alla pedofilia come flagello collegato alla natura del sacerdozio. Non so, vorrei una Chiesa capace di stupire, di riesporsi e reinventarsi senza dilaniarsi nel mea culpa verboso e inconcludente, capace di rinnovarsi nei fatti senza cedere alla tentazione di fare della tolleranza zero, caratteristica già discutibile della scurezza in ambito secolare, un nuovo nucleo del suo pensiero e della sua presenza. Prediche, non inquisizioni in pubblico e autodafè, di questo eventualmente i laici veri avrebbero bisogno.


(Articolo pubblicato sul n° 37 di Panorama in edicola dal 30 agosto 2018 con il titolo "Ridatemi una Chiesa meno mediatica e più chiesa")


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