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Handicap, l’ultima arma del terrore

Handicap, l’ultima arma del terrore

Persone in carrozzella, con gravi menomazioni, non vedenti: per rilanciarsi l’ex Stato islamico arruola anche i «diversamente abili». E in Rete fa propaganda con loro azioni suicide.


Se lo fanno loro, puoi farlo anche tu». L’ultimo disperato appello dell’Isis per reclutare nuovi kamikaze da immolare nella guerra civile contro gli infedeli che non si piegano alla Sharia è rivolto ai «diversamente abili». Per dimostrare che tutti possono essere un’arma contro il nemico, i jihadisti hanno ripreso uno stratagemma adoperato da Abu Musab Al Zarqawi all’epoca dell’invasione americana dell’Iraq. Il problema è che questo barbaro «appello» funziona ancora adesso.

Lo scorso 19 luglio 2021, per esempio, lo Stato islamico ha messo a segno in Iraq il suo ultimo e più importante attentato dopo la sconfitta militare del marzo 2019: dell’episodio, avvenuto nel mercato di Woheilat, periferia est della capitale Bagdad, è stato protagonista proprio un disabile. Si è prima fatto fotografare insieme ai figli sulla sedia a rotelle, dove nascondeva un ordigno pronto a scoppiare, e ha proclamato la sua professione di fede a favore di telecamera.

Quindi si è lasciato esplodere in mezzo a una moltitudine di persone arrivate nell’area commerciale nel giorno di Eid Al Adha, la festa del sacrificio: il bilancio è di 35 morti, dei quali 15 bambini.

È la terza volta dall’inizio del 2021 che l’Isis colpisce secondo queste modalità. I luoghi affollati nella parte orientale di Bagdad, dove la maggioranza degli abitanti è sciita, restano tra i target preferiti dalla propaganda jihadista. Ed è chiaro l’intento dei miliziani irriducibili di accendere nuovamente gli animi nell’infinita guerra settaria tra la popolazione di confessione sciita, maggioritaria nel Paese, e la minoranza sunnita.

Gli handicap fisici degli aspiranti suicidi non hanno mai rappresentato un deterrente per il loro reclutamento. Anzi. Molti disabili, anche minorenni, sono abitualmente impiegati per proteggere le roccaforti dell’Isis, per essere messi di vedetta ai posti di blocco disseminati nel deserto siro-iracheno, per fabbricare Ied (ordigni esplosivi non convenzionali) come i giubbotti esplosivi.

Commenta il criminologo Franco Posa: «In questi ruoli i soggetti fragili riconoscono la possibilità di superare il costante timore del rifiuto e il loro senso di inadeguatezza. Una volta reclutati, specialmente nelle fasi iniziali della militanza, esprimono l’orgoglio di appartenere a una nuova, e per loro gratificante, realtà». Sfruttando il fatto che le persone con disabilità vengono identificate tradizionalmente come vittime, lo Stato islamico è riuscito così a capovolgere la loro immagine «perdente». E lo ha fatto attraverso «una strategia in cui chi viene reclutato vive il messaggio mediatico come modo finalmente efficace per uscire dai limiti imposti dal deficit fisico o psichico» aggiunge Posa. «Diventa un elemento di integrazione e appartenenza a una comunità che può garantire il successo personale». Una sorta di riscatto sociale, insomma. Anche se quel riscatto spesso conduce inevitabilmente alla morte.

Non si tratta solo di plagio mentale, comunque. Sottolinea Franco Iacch, analista esperto di terrorismo: «Coloro che si immolano in attentati suicidi costituiscono anche una garanzia economica per la famiglia che ha avuto il “privilegio” di fornire un fedele alla causa». Il martirio di un disabile può fruttare fino a 10 mila dollari ai parenti, stando alle cifre che Al Qaeda sborsava per colpire gli americani nel periodo post Saddam Hussein. «Abu Hamza al-Iraqi (l’attentatore di luglio, ndr) è riuscito a superare le misure di sicurezza imposte dal governo iracheno intorno a Bagdad, raggiungendo un assembramento di sciiti proprio grazie alla sua disabilità. È stato accompagnato da qualcuno, disarmato e probabilmente perquisito, e posizionato nel luogo scelto per l’attentato. L’ordigno, poi, è stato forse attivato in remoto. L’Isis ha così utilizzato la pietà che il giovane ispirava nei controllori sfruttandola per portare a termine la missione suicida».

Il ruolo dei diversamente abili all’interno delle organizzazioni jihadiste non è comunque un fenomeno nuovo. In passato, i miliziani con handicap sono serviti soprattutto per reclutare nuove leve. Ma le cronache offrono numerosi altri esempi di un loro coinvolgimento diretto nelle azioni terroristiche.

Negli attentati suicidi, peraltro, non ci si limita a coinvolgere soli i portatori di handicap. Vengono utilizzate anche persone con disturbi mentali. Molte famiglie che non possono garantire cure adeguate a loro membri con queste patologie finiscono infatti per «affidarle »al sedicente Califfato islamico.

Secondo il generale iracheno Saad Maan – che già nel 2014 si trovava a fronteggiare l’avanzata delle milizie di Al Baghdadi – l’Isis non punta solo alla persuasione nei confronti delle famiglie o all’accoglienza di disabili tra le sue fila. Spesso i miliziani «prelevano con la forza i malati di mente nelle strade, fanno indossare loro giubbetti esplosivi e li fanno saltare in aria con congegni a distanza. Li considerano carne da macello».

È quanto accaduto nel 2014 a Hassan, ventenne di Bagdad con disfunzioni psichiche fin dalla nascita, conosciuto nel quartiere Al Ghabat come Al Mabruk, «Il Benedetto». Si aggirava tra i ristoranti e i negozi della zona, tutti consideravano la sua presenza di buon auspicio. Ciò nonostante, dopo la rapida presa della città di Mosul è stato rapito e costretto a trasformarsi in una bomba umana. Il suo corpo è finito straziato insieme a quelli di quattro soldati e un poliziotto, a un posto di blocco tra Bagdad e Tarmiya.

Oggi l’Isis è sì sconfitto e le sue rapide conquiste tra Siria e Iraq, come noto, si sono ridotte al controllo di pochi villaggi lungo il confine tra i due Paesi, ma la guerra civile prosegue e arrendersi non è un’opzione per i jihadisti. Per questo ogni persona capace di infliggere danni ai nemici è la benvenuta tra le fila del Califfato.

Le ultime stime diponibili del ministero della Salute iracheno (2018) indicano in oltre 4 milioni i disabili iracheni cui la propaganda jihadista potrebbe potenzialmente rivolgersi; cifre che combaciano con le stime di uno specifico report curato dalle Nazioni Unite nel dicembre 2016.

A preoccupare le autorità irachene in tal senso è l’approssimarsi della data del 10 ottobre: allora il Paese si troverà a dover garantire il corretto svolgimento delle elezioni federali. La necessità di permettere il voto a quante più persone possibili potrebbe indurre il ministero dell’Interno ad allentare le maglie dei già difficili controlli. E lo Stato islamico, dal canto suo, ad affinare questa raccapricciante tecnica terroristica per sabotare lo svolgimento della consultazione.

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