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Le carissime opere incompiute

Le carissime opere incompiute

In Italia ci sono 379 opere pubbliche bloccate o mai partite. Costo: 1,8 miliardi di euro. Ma, oltre allo spreco, quel che fa più arrabbiare sono le motivazioni dei ritardi…


Ci sono dei settori particolari che riguardano tutti i cittadini rispetto ai quali quando si sente parlare il politico di turno – a qualsiasi livello sia egli collocato, dalla circoscrizione comunale al parlamento europeo passando per Comuni, Regioni, Camera e Senato – più che un politico, cioè uno cui è demandato dal popolo il governo dei problemi, sembra di sentir parlare un opinionista. Spesso succede anche nel caso di chi ha responsabilità di governo, non solo di chi è all’opposizione (e lì c’è un livello di giustificazione maggiore). Ci dicono cosa dovrebbe essere fatto. Ci dicono come andrebbe fatto. Gridano allo scandalo perché non è stato fatto. Proclamano l’urgenza che tutto ciò sia fatto. Ammoniscono non si sa bene chi – talora pare ammoniscano i cittadini – dell’improrogabilità di ciò che dovrebbe essere fatto. E spesso si dimostrano anche scocciati, infastiditi, disturbati, seccati, contrariati, addirittura nauseati. Noi, invece, di fronte a tutto ciò proviamo un sentimento che si esprime con un sinonimo di tutti gli aggettivi che abbiamo usato ma che è l’unico legittimo e vero: noi siamo, di fronte alle loro parole, semplicemente «scoglionati». A volte per descrivere uno stato d’animo basta un aggettivo.

Ogni anno il ministero delle Infrastrutture, per una legge del 2011 che ha istituito il Sistema informativo di monitoraggio delle opere incompiute, ci fornisce la situazione italiana di tutte quelle opere pubbliche che sbandierano i vari governi da vent’anni almeno, e la realizzazione delle quali è lontana più delle stelle, di cui vediamo ancora la luce ma che sono morte da migliaia di anni. Quest’anno il Sistema ci dice che le opere pubbliche incompiute sono 379 delle quali addirittura un terzo, cioè 138, sono in Sicilia e 47 in Sardegna, i record assoluti. Lasciamo perdere la Sardegna per un attimo. Se andassimo a controllare i soldi versati alla Sicilia che come tutti sanno è in regime di autonomia con i soldi degli altri – cioè un po’ come quei giovanotti e quelle giovanotte che si vantano di abitare da soli e fare una vita autonoma, tralasciando il piccolo particolare che lo stipendio arriva direttamente dai genitori – sarebbe interessante capire dove sono andati a finire questi denari, perché non sono stati spesi; ma questo sarebbe un altro discorso che prima o poi affronteremo. Torniamo invece alla situazione nazionale. Le 379 opere valgono 1,8 miliardi di euro, cioè grosso modo lo 0,1 per cento del Pil nazionale e farebbe molto comodo poterli inserire, questi miliardi, nel computo del Prodotto interno lordo. Quindici di queste opere sono direttamente sotto la responsabilità dell’amministrazione centrale dello Stato, le altre sono di competenza degli enti locali. Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Enrico Giovannini ha annunciato con una certa baldanza che, rispetto al 2020, nel 2021 si registra un -14,4 per cento delle opere incompiute. Per carità, si dice «chi si accontenta gode» o «è meglio avere il 50 per cento di qualcosa che il 100 per cento di niente»; ma con tutta franchezza ci pare che questo non possa essere il pensiero di chi governa: se andiamo a vedere i motivi per i quali sono bloccate le opere ci accorgiamo che sono sbagli che si potevano evitare.

Infatti, nel 40 per cento dei casi l’opera si è interrotta per mancanza di fondi. Ora, anche in una semplice famiglia, purché non sia guidata da sconsiderati che si indebitano a capocchia, prima di procedere a un lavoro qualsiasi si guarda se ci sono i soldi, si va a vedere se qualche banca compie il supremo gesto di bontà di concedere un mutuo (in taluni casi l’atto ha del miracoloso), si cerca insomma di capire se prima di annunciare ai quattro venti l’opera, in questo caso ai figli e ai parenti, non si rischi di incorrere nella brutta figura di aver comunicato qualcosa che poi non si fa. Non si verrà mica a dire che non si poteva sapere se erano disponibili o no 1,8 miliardi di euro, cioè 1.800 milioni di euro sugli oltre 816 mila milioni che si spendono annualmente. Pensano di prenderci tutti per scemi?

Il 30 per cento delle opere incompiute è dovuto poi a problemi di tipo tecnico. Ma con tutte le gare di appalto, i concorsi, i «burosauri» che abitano di giorno e di notte gli uffici ministeriali, queste mostruose figure mitologiche della burocrazia italiana, ebbene, con tutta questa massa di regole, regolette e regoline non si poteva proprio prevedere prima che qualche problema tecnico esisteva? Mettiamo la soglia del 5 per cento come soglia accettabile, ma sei volte tanto ci pare troppo. A questo si aggiungono altre cause, ma non tediamo ulteriormente la lettrice e il lettore, ci permettiamo solo di riportare un 4 per cento di casi in cui la causa è «il mancato interesse al completamento». Come nella mitologia, spesso accade qui il burosauro dev’essere impazzito.

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