Home » Flotta da sbarco

Flotta da sbarco

Le molte navi delle Ong presenti nel Mediterraneo centrale agiscono in maniera coordinata, sostituendosi agli Stati e dandosi il cambio, come emerge da documenti riservati in possesso di Panorama. Così fanno arrivare in Italia migliaia di migranti (quest’anno ne sono previsti circa 100 mila) che non provengono da situazioni di pericolo o zone in guerra. All’estero, intanto, Paesi come Danimarca, Polonia e Turchia adottano metodi repressivi tacitamente accettati dalle stesse autorità europee.


Il 4 novembre alle 18.06 il comandante di Rise Above invia un drammatico messaggio di posta elettronica chiedendo un porto di sbarco sicuro. «Siamo di fronte alla possibilità di un ammutinamento» scrive Marco Antonio Martinez Esteban. «Le condizioni di salute dei nostri ospiti stanno peggiorando (…) Il maltempo mi ha costretto a entrare nella acque territoriali italiane (…) La mia barca è piccola». Gli «ospiti» sono 95 migranti diretti illegalmente verso l’Italia, ma recuperati in acque internazionali di competenza maltese per ricerca e soccorso. Tutti partiti da paesi non in guerra come Tunisia, Egitto e Camerun. Tra loro «34 minori fra i 7 e 17 anni» elenca il capitano spagnolo che non a caso si è fatto le ossa su Open Arms, un’altra nave delle Ong che ha dato filo da torcere ai governi italiani. Due giorni dopo Rise Above sta finendo il carburante e ottiene l’ingresso in porto. Il 7 novembre il Viminale non si oppone allo sbarco di tutti i migranti a Reggio Calabria. Un filmato RaiNews 24 svela l’arcano: gli «ospiti» che dovevano essere in condizione precarie e sull’orlo dell’ammutinamento salutano l’equipaggio come vecchi amiconi. Non solo: gran parte dei «minori» sono giovani alti due metri che dimostrano ben più della età dichiarata.

Rise Above di Mission Lifeline, di Dresda, batte bandiera tedesca, ed è una delle quattro unità della «flotta da sbarco» delle Ong che hanno stazionato al largo delle coste siciliane con oltre mille migranti. La nave del capitano Martinez Esteban, la Geo Barents di Medici senza Frontiere e la Humanity 1 dell’omonima Ong hanno sbarcato tutti in Italia, vincendo il braccio di ferro con il Viminale. Solo Ocean Viking della franco-tedesca Sos Mediterranée è stata costretta a puntare la prua verso la Corsica, territorio francese appunto.

«Le Ong del mare agiscono come una vera flotta, che si sostituisce agli Stati e si danno il cambio in maniera coordinata. Adesso puntano su navi di grosso tonnellaggio che possono imbarcare anche un migliaio di persone» ci rivela chi è in prima linea sul mare. Schede riservate delle autorità competenti, in possesso di Panorama, descrivono «il modus operandi delle Ong».

Le operazioni sono condotte da «18 assetti navali di varie dimensioni, bandiere e caratteristiche attualmente “in servizio” presso 13 diverse Ong basate in 5 Paesi europei». La parte del leone spetta alla Germania, che concede la bandiera a 10 navi. Poi vengono Spagna (3), Norvegia (2) e solo una batte bandiera italiana, la Mare Jonio dell’estremista di sinistra Luca Casarini e soci. Altre due unità si preparano: quella di Emergency ferma a Genova e Sea Watch 5, una super ammiraglia degli estremisti tedeschi dell’accoglienza, arrivata ad Amburgo ai primi di novembre «pronta al varo come nave di soccorso civile che verrà dispiegata nel Mediterraneo».

In realtà sono «navi da diporto o di appoggio», che non hanno la certificazione per il soccorso, ma «svolgono sistematicamente questa attività fra le acque di competenza libica e maltese. E poi sbarcano i migranti in territorio italiano: quasi 11mila da inizio anno, ovvero il 25 per cento del flusso diretto in Italia dalla Libia. «Le richieste di luogo sicuro di sbarco vengono avanzate quando si trovano ancora in acque di ricerca e soccorso libiche e maltesi senza coinvolgere gli Stati di bandiera della nave» si legge nella scheda sul modus operandi. «Ultimamente sembra che Geo Barents agisca come una sorta di OSC (Coordinatore in mare degli interventi, ndr)”. Oltre alla navi, la flotta delle Ong ha a disposizione tre aerei privati, Moonbird, Seabird e Colibrì, che decollano anche da Lampedusa e pattugliano il mare alla ricerca dei migranti. L’aspetto più incredibile è il “coordinamento” garantito da Alarm phone, il centralino dei barconi, che opera come un vero RCC (centro di soccorso) ricevendo chiamate dai migranti e inoltrando le informazioni rilevanti ad assetti Ong in mare».

La logistica, oltre ai porti di appoggio come Amburgo e di sosta a Marsiglia, è concentrata in Spagna a «Burriana, Vinaros, e Sagunto» dove ormeggia gran parte della flotta da sbarco. Secondo le informazioni italiane «grazie al favore della classe politica locale e a un collettivo recentemente costituitosi, Aurora Grup de Suport, eseguono addestramento, rifornimento di ogni bene, lavori di manutenzione e presto avranno una zona del porto a loro disposizione». L’ammiraglio di divisione in riserva, Nicola De Felice, è convinto che «bisogna seguire la pista dei soldi. Le navi delle Ong che battono bandiera tedesca o norvegese sono finanziate dalla chiese locali. Humanity 1 riceve dei fondi fissi del governo di Berlino attraverso la chiesa protestante».

La nave, costata 1 milione e 300 mila euro, è la vecchia Sea Watch 4 ammodernata nel porto di Vinaros in agosto. I soldi del governo tedesco arrivano attraverso Aktion Deutschland Hilft, un cartello di associazioni, come United4Rescue, che ha raccolto fondi anche per Sea Watch e Mission Lifeline della nave Rise Above già salpata da Reggio Calabria per ripetere lo stesso copione con nuovi migranti. Fra i sostenitori storici spiccano la Chiesa evangelica tedesca e il cardinale cattolico, arcivescovo di Monaco, Reinhard Marx. Non mancano le Acli in Italia e il testimonial Leoluca Orlando, ex sindaco di Palermo. «L’Ong tedesca Sea watch è supportata da Die Linke, che in tedesco vuol dire “la sinistra”, gli eredi del partito comunista della Germania Est» aggiunge l’ex ammiraglio De Felice.

La visione politica e ideologica di gran parte delle Ong del mare lascia pochi dubbi. Il 10 ottobre Sea-Watch international twittava sulla premier inglese uscita di scena: «Liz #Truss si è dimessa oggi dopo soli 45 giorni in carica. Auguriamo al nuovo presidente del Consiglio #Meloni una carriera altrettanto stellare». A bordo di Geo Barents, nell’ultima sfida con il governo italiano, c’era la «pasionaria» Ana Isabel Montes Mier, veterana della nave spagnola Open Arms, responsabile a bordo della squadra di soccorso di Medici senza frontiere. Quando Matteo Salvini è stato rinviato a giudizio per il braccio di ferro, come ministro dell’Interno, proprio con Open Arms, Montes Mier l’ha annunciato trionfante con l’hashtag #BellaCiao.

All’8 novembre scorso gli sbarchi registrati in Italia quest’anno erano 88.670, un numero record eredità del precedente governo. Le prime tre nazionalità sono egiziana (18.217), tunisina (16.979) e cittadini del Bangladesh (12.524), che non arrivano da Paesi in guerra. «Il 2022 si chiuderà probabilmente con 100 mila sbarchi illegali sulle coste italiane. Valori che stanno tornando verso i numeri record registrati alla metà dello scorso decennio» mette in guardia Paolo Quercia, docente di Studi strategici. Le novità nei flussi sono i grossi e vetusti pescherecci che caricano centinaia di persone salpando dalla Cirenaica, la Libia orientale sotto il controllo del generale Khalifa Haftar alleato dei russi. Il 7 novembre è arrivato uno degli ultimi da Tobruk con 495 migranti illegali.

Poi ci sono le imbarcazioni, persino a vela, che partono da Libano e Turchia. Un flusso in aumento che a fine ottobre aveva registrato 13.218 arrivi. Il 7 novembre sono stati intercettati al largo di Rocella Ionica 69 siriani, iracheni e palestinesi partiti da Minieh, in Libano. Il costo del viaggio pagato da ciascun migrante varia fra i 6 mila e 10 mila dollari. Se in Italia le Ong del mare l’hanno sempre vinta, altri Paesi usano il pugno di ferro. Solo in una settimana la Turchia ha espulso 4.823 rifugiati afghani. E la Commissione europea verserà a breve 200 milioni di euro ad Ankara per barriere e torrette sulla frontiera orientale. La Polonia ha iniziato il 2 novembre a erigere una barriera sul confine con l’enclave russa di Kaliningrad. Varsavia teme l’arrivo, con nuovi voli internazionali annunciati da Mosca, di migranti dall’Asia e dall’Africa utilizzati come arma ibrida.

Il caso più clamoroso è quello danese, dove il blocco dei «rossi», come viene chiamata l’alleanza dei cinque partiti di sinistra, ha adottato la linea «zero immigrati» vincendo le elezioni. La premier socialdemocratica, Mette Frederiksen, ha scelto una terapia d’urto: i richiedenti asilo verranno trasferiti in Ruanda, come pensano di fare gli inglesi, i migranti che delinquono finiranno nelle carceri del Kosovo affittate per 15 milioni di euro, e i permessi di soggiorno già concessi saranno ritirati se la situazione migliorasse negli Stati di origine dei migranti. Di fronte a questi metodi, le procedure messe in atto dall’Italia per limitare il numero degli arrivi impallidiscono.

Secondo Quercia la «guerra» non si vince in mare: «Dobbiamo cooperare con aiuti economici ai Paesi che sono in grado di contenere i flussi e perseguire attivamente le reti criminali dei traffici. Congelamento dei profitti finanziari oltre a sanzioni ai governanti collusi con i trafficanti di uomini».

© Riproduzione Riservata