La grande industria del falso intorno alla tifoseria del Napoli «primo in classifica» è tra i business più redditizi della malavita: tonnellate di gadget taroccati stanno per dilagare in Italia (e all’estero).
La superstizione è un lusso che la camorra non può permettersi. E così, in vista del probabilissimo terzo scudetto del Napoli di Luciano Spalletti, la malavita ha già messo in moto la grande industria del falso per non farsi trovare impreparata quando si concluderà il campionato. Magliette, cappellini, bandiere, sciarpe, trombette e ogni genere di gadget legato alla vittoria del team azzurro sono pronti a inondare il mercato locale e nazionale del tifo. Un affare da milioni di euro che le forze dell’ordine stanno provando a contrastare con una serie di operazioni a tappeto e indagini sottotraccia. Da inizio anno sono stati sequestrati 20 mila pezzi contraffatti con il logo della squadra di Aurelio De Laurentiis per un valore di circa 420 mila euro. Ma il grosso è ancora stipato in garage, depositi e case. Un tesoro illegale sulle cui tracce si è messa la Gardia di Finanza.
I blitz delle Fiamme gialle si succedono tra i Quartieri Spagnoli (dove una maglia taroccata di Maradona viene venduta a sprovveduti turisti in cerca di memorabilia a oltre 80 euro), Fuorigrotta e la zona del Mercato, location storicamente dedita al contrabbando di ogni tipo. Un appartamento di Scampia è stato trasformato in un laboratorio per il confezionamento di t-shirt e bandiere con tanto di presse e stampanti a colori: scoperto e sgomberato. In quella che doveva essere la stanza di letto sono stati trovati quintali di stoffa azzurra e migliaia di scudetti con «il numero 3» in bella mostra. Stesso scenario a Montecalvario e a Secondigliano. Mentre in provincia, a Portici, una sartoria illegale in piena attività è stata chiusa dopo aver imbustato oltre ottomila magliette false.
Sequestri si sono registrati pure a Sorrento, Ischia, San Giorgio a Cremano, Pozzuoli, Gragnano, Afragola e Casoria. Ad Arzano sono finiti sotto chiave altri 3 mila capi pirata. A oggi, sono una quindicina i denunciati in totale. «La merce grezza arriva dall’estero» dice un investigatore a Panorama. «Cina in primo luogo, poi Turchia, Bielorussia ed Estonia. È materiale di scarsa qualità acquistabile a prezzi bassissimi e in stock giganteschi. E più è corposo l’ordine più basso è il prezzo». Una maglietta singola costa al clan circa 2 euro, e può rivenderla a 30/40 euro sulle bancarelle dopo averla opportunamente trattata. «Ma esiste anche una quota di produzione domestica: intere famiglie si sono riconvertite all’ago e filo. Tagliano, cuciono, stampano, collazionano, assemblano. Riuscire a identificarle è impossibile».
Uno dei pezzi più ricercati è la mascherina del centravanti Victor Osimhen. «All’ingrosso costa 40 centesimi, ma un tifoso arriva a pagare 10 euro». E la stessa percentuale di super guadagno vale per corni, trombette e coroncine gonfiabili azzurre. «Stiamo assistendo a una riconversione degli affari illegali delle famiglie camorristiche» sottolinea un investigatore al nostro settimanale. «Sappiamo, da fonti confidenziali e da attività tecniche, che le cosche stanno investendo sul nuovo affare con uomini e mezzi finanziari crescenti. È un business che offre altissima rendita e rischi giudiziari pari a zero».
Il meccanismo della distribuzione ce lo spiega Gennaro Panzuto, un tempo spietato sicario dell’Alleanza di Secondigliano e oggi collaboratore di giustizia, tornato a vivere a Napoli, fuori dal programma di protezione, per «dimostrare, con il mio esempio, che ribellarsi alla criminalità organizzata è possibile». Il sistema di vendita è molto semplice e ricalca quello in uso per le piazze di spaccio. Ogni clan, ce ne sono decine e decine in tutta la città, recluta venditori tra la bassa manovalanza e affida loro dei lotti di gadget pretendendo il pagamento di una cifra fissa settimanale. Tutto quello che il venditore ottiene in più rappresenta il suo profitto». In un mese, un singolo abusivo può guadagnare anche 5 mila euro, esclusi i costi di approvvigionamento.
Così le bancarelle stanno spuntando un po’ ovunque, e non solo attorno allo stadio intitolato al Pibe de oro. Gli ambulanti sanno che i denari sono più facili dove circolano i turisti: al centro storico, nel «salotto buono» di Chiaia e nel porto avanzano, dribblando come l’attaccante Khvicha Kvaratskhelia i controlli delle forze dell’ordine, i vessilliferi azzurri proponendo «sconti comitiva» e occasioni imperdibili per questa o quella divisa. Il mercato è aperto, spazio e occasioni di guadagno per tutti non mancano. C’è un’unica regola da rispettare: la competenza territoriale. «I venditori non possono sconfinare così come i fornitori non possono smerciare in altre aree», prosegue Panzuto. «Ognuno deve coltivare il suo orticello, senza dar fastidio ad altri».
Il rischio che una cosca finisca in fuorigioco è enorme. E può creare qualche problema alla stessa convivenza mafiosa se è vero che, all’origine delle tensioni nell’area nord-occidentale della città, sfociate in un paio di agguati, ci sarebbero proprio gli introiti derivanti dal merchandising della camorra contesi tra due gruppi. «Le fabbrichette dei clan lavorano a pieno regime» conclude l’investigatore. «E tra non molto inizieranno la produzione destinata al resto d’Italia e d’Europa. Il Napoli ha quasi 3 milioni di supporters in giro per il mondo. È una miniera d’oro». O meglio: un rigore a porta vuota per i boss.
