Una criminalità feroce si è insediata nei Paesi Bassi: bande di varie nazionalità uccidono, spacciano, danno ordini dalla prigione. Proprio come in Italia. E la Giustizia del Paese più «frugale», ora vuole copiare il nostro regime di carcere duro.
C’è paura anche nel profondo Nord Europa, la nazione «frugale» per eccellenza, direbbero i rigorosi economisti. Ecco che la mafia non è più solo un problema degli «italianen». Bande di criminali scorrazzano per i Paesi Bassi lasciandosi dietro lacrime e sangue. Quel che Cosa nostra ha fatto negli ultimi trent’anni in Sicilia oggi si ripropone tra Amsterdam e Rotterdam.
Il ministro olandese della Giustizia, Dilan Yesilgöz-Zegerius, nei giorni scorsi è atterrato a Roma con un obiettivo: trovare il modo di copiare il regime del «carcere duro» italiano e riproporlo in patria. Per questo, ha incontrato i ministri Luciana Lamorgese e Marta Cartabia, oltre a rappresentanti della magistratura e dell’avvocatura. Tra i quali il presidente delle Camere penali del diritto europeo e internazionale Alexandro Maria Tirelli.
«Per importare il 41bis in Olanda occorre adottare le norme di prevenzione contro il riciclaggio e la fattispecie di reato dell’associazione di stampo mafioso nel codice penale che, al momento, loro non hanno» spiega Tirelli a Panorama. «Abbiamo proposto al ministro olandese di confinare i detenuti in istituti speciali nelle colonie olandesi d’oltremare, e di affiancare in maniera permanente all’avvocato di fiducia un secondo avvocato d’ufficio, come si fa in Germania. Questo perché gli uffici inquirenti olandesi temono i legali come vettori di informazioni, visto quel che è successo con l’arresto di un penalista di origini calabresi che faceva da portavoce delle ‘ndrine in Olanda».
Per ora il ministro ha preso appunti e promesso che porterà la questione in parlamento. Il tema dei diritti civili in Olanda vale quanto e più di quello della sicurezza. «Abbiamo infine aggiunto» conclude Tirelli «che lo scopo del carcere duro non è tanto la punizione severissima, ma soprattutto lo sradicamento di un boss dal suo territorio, dal suo ambiente». Cosa che in Olanda difficilmente accade, a dire il vero. Fino al marzo scorso i detenuti in alta sorveglianza potevano usare la mail per comunicare con l’esterno. Solo quando gli investigatori si sono resi conto che i pericolosi padrini della «Mocro maffia» (slang che sta per «la mafiaccia dei marocchini») continuavano a impartire ordini dalla cella si sono decisi a congelare il servizio.
La corruzione degli apparati investigativi è un’emergenza cui è difficile far fronte. Nella prigione di Zaanstad, fino a qualche tempo fa, un assassino della Mocro maffia teneva conferenze sul crimine quasi ufficiali agli altri detenuti sotto il naso della polizia. Sul carcere di Vught è stato invece addirittura chiuso lo spazio aereo dopo che i servizi segreti avevano lanciato l’allarme su un possibile piano di evasione addirittura con un elicottero. In quella fortezza di cemento è rinchiuso Ridouan Taghi, il Totò Riina olandese. Amico degli 007 iraniani, è accusato di una dozzina di delitti commessi o progettati. Voleva sparare con un lanciarazzi contro un affollato negozio di elettronica sospettato di collaborare con la polizia. Per i lavoretti sporchi, Ridouan usava invece uno squadrone di 11 killer professionisti chiamati i Caloh Wagoh. E dopo ogni morto, inviava in chat il suo grido di battaglia: «Whoop! Whoop!». Taghi è stato con tutta probabilità pure uno dei ganci del narcotrafficante Raffaele Imperiale, il boss napoletano estradato da Dubai nel marzo scorso e diventato famoso per aver acquistato per cinque milioni di euro due quadri di Vincent Van Gogh rubati da un museo di Amsterdam.
C’è certamente la Mocro maffia pure dietro l’omicidio di Derk Wiersum, avvocato del testimone chiave nel maxi processo «Marengo» – nove omicidi tra il settembre 2015 e il 2019 – Nabil Bakkali. Accusato da Taghi di essere un confidente degli investigatori, è stato punito con l’uccisione di suo fratello, Reduan, e del suo confidente, il giornalista investigativo Peter R. de Vries. Quest’ultimo freddato con un colpo di pistola alla testa al termine di una trasmissione televisiva, mentre camminava – da solo e senza scorta – verso l’auto parcheggiata all’esterno degli studi. Un omicidio che ha sconvolto l’opinione pubblica.
Dietro l’esecuzione del blogger di cronaca nera, Martin Kok, poi, ci sarebbero invece i clan scozzesi che gestiscono le piattaforme telefoniche crittografate date in affitto alle cosche bosniache per comunicazioni riservate. «Quello che accade in Olanda è sconvolgente» confida una fonte dell’Interpol al nostro settimanale. «Ci sono corrieri della droga che hanno appena 10 anni. Esistono poi dei centri di formazione dove un criminale può imparare come fabbricare un ordigno».
E la cosa più sconvolgente è che tutto avviene alla luce del sole. Tanto che in uno dei parchi pubblici di Utrecht è stato ritrovato, grazie a una telefonata anonima giunta alla redazione della trasmissione Crime desk, un vero e proprio arsenale nascosto sottoterra. Armi da guerra pericolosissime, e perfettamente funzionanti, messe lì in attesa di tempi peggiori. Si trovavano in una zona frequentata da mamme col passeggino e bambini che giocano a pallone.
