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Il Wagner Group e la strategia russa in Africa

Il Wagner Group e la strategia russa in Africa

Le sanzioni inflitte dall’amministrazione Biden a Yevgeny Prigozhin accendono i riflettori sull’operato nella Repubblica Centrafricana della società di mercenari collegata all’oligarca. Intervista a Eleonora Tafuro Ambrosetti, ricercatrice all’Osservatorio Russia dell’Ispi, sulla presenza di Mosca nel continente nero. A partire dai tempi sovietici.


Il Wagner Group torna nell’occhio del ciclone. Yevgeny Prigozhin, legato alla famigerata società di contractor russi, il 15 aprile è stato colpito dalle sanzioni Usa anche per le sue attività nella Repubblica Centrafricana. Noto come «lo chef di Putin» per la sua attività di catering che organizza eventi con dignitari stranieri alla presenza del presidente russo, Prigozhin ha raggiunto la celebrità anche con un’altra sua creazione. All’oligarca si riconduce la Internet Research Agency, ossia la fabbrica dei troll a San Pietroburgo, che per l’amministrazione Biden ha condotto la campagna di «interferenza elettorale della Russia nelle presidenziali statunitensi del 2016».

Già sottoposto a sanzioni dall’Unione europea lo scorso 15 ottobre per aver violato l’embargo sulla vendita di armi alla Libia, Yevgeny Prigozhin è nella lista dei più ricercati dell’Fbi. Dal 2014 il suo nome è legato anche al Gruppo Wagner, un’organizzazione paramilitare russa comparsa sulla scena pubblica per la prima volta in Ucraina. In quanto società di contractor privati, il ChVK Wagner ha preso parte a vari conflitti: nel Donbass con le forze separatiste delle auto-dichiarate repubbliche di Donetsk e Lugansk, in Siria a fianco del governo di Bashar al Assad e più di recente anche nella Repubblica Centrafricana.

Dopo due viaggi in Russia, nel 2017 e nel 2018, il presidente della Repubblica Centrafricana Faustin-Archange Touadéra ha aperto le porte del suo Paese alle aziende russe e ai consiglieri militari di Mosca. E una società collegata a Yevgeny Prigozhin, la Lobaye Invest, ha iniziato a occuparsi dell’estrazione di diamanti, oro e altri minerali. Di pari passo, sono arrivati anche i contractor del Gruppo Wagner. Le attività dei mercenari russi hanno fin da subito sollevato perplessità, ma lo scorso 31 marzo un rapporto Onu ha fatto luce sulle attività russe nel Paese africano. E ha denunciato «gravi violazioni dei diritti umani» commesse da tre entità russe, una delle quali è proprio il Gruppo Wagner. Quindici giorni dopo, Washington ha messo nel mirino Yevgeny Prigozhin, anche per il suo operato nella Repubblica centrafricana. Per capire meglio la strategia russa nella Repubblica Centrafricana e più in generale nell’Africa sub-sahariana, Panorama ne ha parlato con Eleonora Tafuro Ambrosetti, ricercatrice all’Osservatorio Russia dell’Ispi.



Il Wagner Group e la strategia russa in Africa
L’oligarca russo Yevgheny Prigozhin (Tass/Getty Images)
L’oligarca russo Yevgheny Prigozhin (Tass/Getty Images)


Che cosa ci fa il Gruppo Wagner nell’Africa subsahariana?

«I suoi contractor hanno multiple funzioni. Alcuni sono impegnati nella protezione di leader africani, altri sono a guardia dei pozzi di petrolio o delle infrastrutture energetiche, altri sono utilizzati sul campo per combattere. Si ritiene che i contractor siano anche utilizzati nella strategia russa per rafforzare gli Stati africani contro la minaccia del terrorismo».

Vale a dire?

«La Russia, molto coinvolta nella lotta anti-terrorismo in Africa, adotta un approccio energico, per cui sostiene che gli Stati devono essere forti per reagire alla minaccia terroristica. Oltre alla cooperazione tecnico-militare, compresi i programmi ufficiali di addestramento antiterroristico, il dispiegamento di mercenari provenienti da aziende di sicurezza private potrebbe essere funzionali a questa strategia».

E nella Repubblica Centrafricana?

«Sono molto presenti. E hanno fatto parlare molto di sé dopo l’uccisione, il 31 luglio 2018, dei tre giornalisti russi che erano andati a verificarne le attività. I giornalisti stavano indagando sugli interessi russi nell’Est della Repubblica Centrafricana, presso il giacimento d’oro di Ndassima».

Ma a che titolo Wagner Group è presente lì?

«Sulla carta con un ruolo totalmente privato. Quello su cui insiste il Cremlino è che la Wagner è un’entità privata su cui non ha influenza più di tanto. Anche se l’accesso a determinati contesti non può che essere facilitato o favorito dal governo russo».

E più in generale in Africa com’è la presenza russa? Istituzionale, militare o privata?

«È mista. Perché la Russia svolge anche funzioni che rientrano negli obiettivi delle Nazioni Unite. Per esempio organizza un’attività di training di peacekeeper dell’Unione africana».

Ci sono anche truppe russe con l’Onu?

«Più che truppe, osservatori e addestratori militari nelle missioni Onu di peacekeeping. Poi c’è la lotta al terrorismo: Mosca ha 19 accordi di cooperazione militare in tutto il continente: in Burkina Faso, Burundi, Ciad, Etiopia… Per esempio con il governo nigeriano c’è stata una collaborazione molto stretta contro Boko Haram. Comunque ci sono vari contesti in cui la Russia è presente in Africa, oltre chiaramente a quello economico, che è abbastanza trasparente».

Quindi in Africa Mosca ha una presenza militare-istituzionale, una presenza economica e una presenza privata.

«Economico-energetica, perché sull’energia e soprattutto sullo sviluppo del nucleare in Africa i russi sono molto attivi, attraverso l’azienda Rosatom. Ci sono insomma missioni svolte in totale trasparenza che si aggiungono ai legami molto meno trasparenti stretti dai contractor della Wagner».

Ma che logica c’è dietro questa strategia?

«La logica è un po’ quella di tutti gli attori esterni in Africa: ampliare la propria influenza e far arrivare le proprie aziende a un mercato promettente e beneficiare di accordi preferenziali nello sfruttamento delle risorse naturali del continente. In questo la Russia non è che sia molto diversa dagli altri».

Una logica economico e politica, quindi?

«Sì. E poi c’è anche la logica, spesso enfatizzata dal Cremlino, dell’anti-terrorismo. Questo perché la Russia fa della lotta al terrorismo a livello globale una bandiera, essendo essa stessa coinvolta nel problema del fondamentalismo islamico. Quindi vuole evitare lo sviluppo del fenomeno per scongiurare eventuali spill-over, sia in territorio russo sia riguardo a eventuali foreign fighter che potrebbero andare a combattere nei Paesi interessati dal fenomeno».

Immagino ci sia anche una componente di immagine…

«Sì, certo. Quando parlavo di politica mi riferivo soprattutto a quello: all’espansione dell’influenza e soprattutto il raggiungimento di uno status globale di potenza. Ovviamente le Russia di oggi sotto molto aspetti non può essere paragonata con l’Unione sovietica, però con la storia sovietica condivide molti elementi. E la presenza in Africa è sicuramente un elemento molto forte».

C’è una coincidenza fra gli Stati in cui c’era una forte presenza sovietica e quelli in cui è presente oggi la Russia?

«Dipende dalla componenti. Se guardiamo al commercio di armi, vediamo che a essere interessati sono soprattutto gli Stati del Nord Africa: Egitto e Algeria. Se guardiamo all’energia, per quella nucleare abbiamo Sudafrica, dove c’è l’unica centrale africana a cui Rosatom fornisce tutti i prodotti a base di uranio arricchito, ed Egitto, a El Dabaa, vicino ad Alessandria, dove si sta tentando di costruire la seconda. Quindi i due capi del continente».

Riguardo al petrolio e alle risorse minerarie, in che Paesi è presente Mosca?

«Soprattutto Nigeria e Repubblica Centrafricana. Per la sicurezza è attiva sia in Africa centrale sia in Nord Africa. Diciamo che è una presenza capillare, su tutto il continente».

L’Urss era presente in Angola, Somalia, Etiopia…

«E anche in Mozambico. Tra l’altro, Igor Sechin, l’amministratore delegato di Rosneft, la compagnia petrolifera di Stato russa, era stato un agente del Kgb proprio in Africa, in particolare in Mozambico e Angola. Ma Mosca aveva strette relazioni, per motivi ideologici, anche con l’Egitto di Nasser. Ad ogni modo la presenza sovietica era forte in quasi tutto il continente. Un dato interessante è che all’inizio degli anni Sessanta i Paesi africani con cui l’Urss aveva relazioni economiche erano quattro, negli anni Ottanta, prima del crollo dell’Urss, erano saliti a 36. Quelli con cui aveva rapporti a livello politico, poi, erano molti di più. Visto che l’Unione sovietica promuoveva la liberazione dal colonialismo, aveva relazioni con tutti i Paesi con aspirazioni di liberazione nazionale».

Non a caso a Mosca c’era la leggendaria Università Patrice Lumumba…

«Esatto. In Africa, l’Urss aveva messo in pratica strategie di soft power molto fruttuose. Ma, pur avendo ripreso il vecchio nome, l’Università russa dell’amicizia tra i popoli continua a esistere e a essere molto rilevante sul panorama russo: è stata nominata la terza università del Paese. E continua ad attrarre studenti dall’Africa».

Tornando alla Wagner, che cos’è esattamente?

«Piacerebbe anche a me saperne di più. È circondato da un alone di mistero. Non sono tanti i dati certi. Purtroppo il fatto che si tratti di una organizzazione privata è usata come giustificazione da parte del Cremlino per mantenere un certo riserbo sulle sue attività, dicendo che non ha diritto di controllarla».

Ma è così veramente? Se Putin volesse farla fuori non ci metterebbe molto…

«Ovvio. Non è credibile che quest’impresa di contractor non dipenda almeno parzialmente dal Cremlino, visto l’accesso che ha a determinati leader».

Perché si muove ad altissimo livello?

«Sì, fornisce anche servizi di sicurezza per i leader africani».

In effetti il Council on Foreign Relations scrive che il presidente della Repubblica centrafricana Faustin-Archange Touadéra «è apparso in pubblico con una scorta di protezione personale che includeva “truppe delle forze speciali russe”, ampiamente ritenute parte del Gruppo Wagner».

«Però anche lì: “ampiamente ritenute”. La verità è che non ci sono dati totalmente affidabili sull’operato della Wagner. Insomma, bisogna sempre leggere la realtà in maniera critica. Ricordiamo poi che il Council on Foreign Relations è un think tank americano. È generalmente affidabile, ma sicuramente un po’ di parte».

Ma diciamo che, se fosse inviso al Cremlino, certe posizioni non potrebbero occuparle…

«È quello il punto».

Il Wagner Group è stato chiamato la “mano invisibile del Cremlino”. È giusto definirlo così?

«Detta così è un po’ forte. Però i legami fra Prigozhin e Putin sono provati da numerosi fonti e mai smentiti dal Cremlino. E i legami di Prigozhin con il gruppo sembrano molteplici. È impossibile definirlo con certezza la “mano invisibile del Cremlino”, ma è anche difficile scartare totalmente quest’ipotesi. Possiamo solo dire che i legami fra Prigozhin e Putin sono ben saldi e che i teatri in cui la Wagner interviene sono teatri in cui una società priva di legami con il Cremlino non arriverebbe».

Quali sono le origini del Wagner Group?

«Non sono ben chiare. Formalmente, le società private militari sono illegali secondo la costituzione russa, che riserva tutte le questioni di difesa, sicurezza e politica estera allo Stato. Persino la definizione legale di queste società in Russia è poco chiara. C’era stato un tentativo di regolamentarle, ma non è passato. Dunque, anche in Russia a livello legale si muovono in una zona grigia».

Perché adesso è così interessato alla Repubblica Centrafricana? Per le sue risorse?

«Certo, per i suoi diamanti. Ma anche perché quello un Paese instabile in cui è facile inserirsi».

Quindi ha anche mire diplomatiche?

«Sì. Avere una presenza forte a Bangui è un modo per avere influenza su tutta l’Africa centrale. Per esempio in Congo, altro Paese caratterizzato da instabilità politica ma anche con tantissime risorse naturali».

Le sanzioni statunitensi avranno effetti sulla presenza russa in Africa?

«Difficile dirlo, anche perché da molti sono state giudicate blande. No, non credo che avranno un forte impatto sulle attività russe in Africa».

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