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Quei semafori rossi contro l’energia green

Quei semafori rossi contro l’energia green

Se l’Italia rimarrà al freddo, si deve anche ai vari progetti di elettricità «verde» osteggiati dagli ambientalisti o bloccati per motivi paesaggistici. Eppure, senza veti, l’autonomia dal gas sarebbe più vicina.


Tuscania è un piccolo comune di poco più di 8 mila anime in provincia di Viterbo, nella Tuscia. Qui sarebbe dovuto nascere un impianto eolico composto da 16 pale alte 250 metri che avrebbero garantito una potenza complessiva di 90 Megawatt. Il condizionale, però, è d’obbligo: sin da subito comitati locali, ambientalisti e amministrazione si sono opposti all’opera. La ragione? Non si può deturpare il territorio mettendo a rischio l’economia agricola di quella zona. Addirittura è stata presentata un’interrogazione parlamentare, rivolta ai ministri Dario Franceschini e Roberto Cingolani, in cui si chiede che «la tutela del paesaggio prevalga su ogni altro interesse».

Spostiamoci poco più a Sud, in Salento. In un lungo tratto di costa da Porto Badisco fino a Santa Maria di Leuca si vorrebbe realizzare il più grande parco eolico offshore galleggiante italiano con 90 turbine ad almeno 12,8 km dalla costa. Ma anche qui comitati, cittadini, ambientalisti si oppongono, parlando di «ennesimo attacco alla bellezza del Salento e di distruzione del patrimonio paesaggistico». Non va meglio a pochi chilometri di distanza, in Basilicata. Il caso simbolo è Sant’Arcangelo (Potenza), impianto costituito da otto aerogeneratori (potenza 19,20 Mw) che, dopo aver ottenuto le autorizzazioni, tra cui la Valutazione di impatto ambientale, è oggi ostaggio dei pareri e vincoli della Soprintendenza.

Eccola l’ultima follia della macchina burocratica italiana: nonostante la crisi energetica e nonostante si parli ormai da anni di «transizione energetica», si cade nel paradosso per cui a bloccare i progetti di parchi eolici o solari – completamente green – siano gli stessi ambientalisti. O, peggio, le Soprintendenze. Un caso emblematico, ancora, arriva dal cuore della Toscana. A Lucca, a causa del caro bollette, le piccole attività del centro storico avrebbero voluto installare semplici pannelli fotovoltaici. Idea lodevole e lungimirante: «Poteva essere una soluzione» dicono «ma la Sovrintendenza ci nega il permesso, in quanto non possono essere installati nei centri storici». A cogliere il nocciolo della questione è il sindaco neoeletto Mario Pardini: «Auspico» dice a Panorama «che il sistema realizzi, tramite decreti attuativi del governo centrale, procedure semplificate per l’installazione dei pannelli, facilitazioni e bonus fiscali per agevolare la transizione energetica di soggetti pubblici e privati. È necessario pensare e costruire un nuovo modello sociale basato sulla compatibilità fra produzione e consumo, fondato su un modello innovativo di condivisione delle risorse e di lotta agli sprechi».

Che il problema sia di sistema lo dicono i numeri. Per centrare l’obiettivo della transizione energetica, secondo quanto afferma l’Ue, il nostro Paese dovrà installare 80 Gigawatt di rinnovabili entro il 2030, con una media di 10 Gw l’anno. Ma negli ultimi sette anni si sono aggiunti in media solo 0,8 Gigawatt ogni 12 mesi. La cosa straordinaria, come mostrano i numeri di Terna, è che a fine ottobre scorso erano pervenute richieste di autorizzazione per impianti eolici e solari sulla terraferma pari a 130 Gw, cui vanno sommati 22,7 Gw di impianti a mare.

Dunque, un totale di oltre 150 Gw richiesti, quando ne basterebbero 80. I progetti ci sono, peccato siano fermi. Lo evidenzia bene il rapporto Irex 2022, che dal 2008 monitora il settore delle rinnovabili: su 264 nuovi progetti eolici e fotovoltaici di scala industriale, ben 188 (oltre il 70 per cento) risultano ancora fermi al 2021. «Negli ultimi cinque anni in Italia» spiega Simone Togni, presidente dell’Anev, l’Associazione nazionale energia del vento che rappresenta 70 aziende e circa 2 mila soggetti tra produttori e operatori «si sono accumulati oltre 9 mila Mw di autorizzazioni di impianti eolici e fotovoltaici a causa dei costanti dinieghi delle Soprintendenze del ministero della Cultura. Se fossero stati autorizzati anche solo due terzi di quei progetti nei tempi previsti dalle normative europee, oggi saremmo infinitamente meno dipendenti dal gas russo».

Uno di questi progetti consiste in sette pale eoliche da installare su un isolato crinale dell’Appennino nel Mugello. A bloccarne la realizzazione è stata la Soprintendenza di Firenze, opposta all’autorizzazione rilasciata pure dalla giunta della Regione Toscana il 7 febbraio 2022. Poco importa che l’opera sia stata oggetto anche di un processo partecipativo pubblico, cui hanno aderito oltre 200 tra cittadini, associazioni, esperti di energia e ambiente. Una partita che va avanti da anni e solo pochi giorni fa pare sia stata sbloccata da Palazzo Chigi. Curioso anche quanto capitato in provincia di Sassari: nei comuni di Ploaghe e Nulvi già sorge un parco eolico. La Erg chiedeva semplicemente una riqualificazione con la dismissione di tutti i vecchi 51 aerogeneratori per realizzarne 27 nuovi e più potenti. Insomma: più energia con meno pale. Ciononostante, il progetto è rimasto bloccato per anni proprio a causa del diniego della Soprintendenza e, a cascata del ministero della Cultura. Un paradosso che racconta l’italica assurdità di programmi «green» bloccati o per ragioni paesaggistiche o dagli stessi ambientalisti che poi non vogliono centrali inquinanti. È quanto accade in provincia di Terni, a Castel San Giorgio, dove i cittadini e il Coordinamento associazioni Orvietano, Tuscia e Lago di Bolsena si oppongono a un impianto di 7 aerogeneratori perché «distruttivi e devastanti del territorio, costosi e scarsamente produttivi».

È così in Molise, a pochi chilometri da Termoli, dove il Comitato per la salvaguardia del territorio molisano parla di «minaccia al patrimonio produttivo, paesaggistico, culturale, identitario del basso Molise». È così in Sardegna dove è partito un iter autorizzativo nella zona di Carloforte, ma le associazioni ecologiste come il Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG) hanno fatto opposizione alle concessioni demaniali marittime per contrastare quello che definiscono un «assalto al mare». Un cortocircuito bello e buono, che piomba sulla campagna elettorale e sulle ultime settimane di vita dell’esecutivo Draghi, vista la crisi in corso. Perché, come spiega ancora Togni, «l’azione di Governo è fondamentale per invertire la rotta, basti pensare che i 9 mila Mw bloccati dalle Soprintendenze, oggi sono alla Presidenza del Consiglio che deve decidere se sbloccarli o respingerli. Sarebbe sufficiente autorizzare quelli che garantiscono un livello progettuale adeguato e prevedono l’obbligo di ripristinare il paesaggio al termine della vita utile dell’impianto». Staremo a vedere. Anche perché «se non si riuscirà a sbloccare l’iter autorizzativo di queste fonti pulite riportando a tempistiche accettabili il processo amministrativo per la realizzazione di tali opere, non avremo più un paesaggio da tutelare».

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