Nel risiko tra società di gestione dei patrimoni prende forma un importante polo nazionale. La posta? Cinquemila miliardi di euro di ricchezza nazionale.
C’è un’«Anima» italiana che batte nel risparmio gestito e per sfuggire alle tentazioni francesi cresce sempre di più. Solo negli ultimi mesi la società di gestione del risparmio guidata da Alessandro Melzi d’Eril si è rafforzata con le acquisizioni di Castello sgr, leader negli investimenti alternativi, e soprattutto Kairos. In entrambi i casi, piccole «boutique» finanziarie in mano a soggetti stranieri – il fondo americano Oaktree e la svizzera Julius Baer – che tornano ad avere una proprietà italiana. Operazioni importanti che danno sostanza alla strategia di una delle principali società di gestione del risparmio del Paese e la rafforzano nel segmento dei fondi immobiliari (Castello appunto) e della cosiddetta «fascia alta» della clientela (private banking), quella con patrimoni rilevanti.
Cosa c’è dietro? L’amministratore delegato non ha mai fatto mistero e l’ha ribadito anche di recente: «Anima ha iniziato questo percorso nel 2009 con 20 miliardi di euro di asset arrivando ai quasi 100 attuali e in futuro continueremo a guardare soprattutto in Italia a opportunità di crescita». Insomma sono in programma altre acquisizioni, ma nonostante le sue parole non si sono mai interrotte voci e indiscrezioni che mettono in risalto le mire francesi sul gruppo. «Se Anima è interessante per altri operatori, per me è solo lusinghiero» ha evidenziato il manager in un’intervista a ClassCnbc». E qui veniamo al punto. La società è partecipata al 21,7 per cento da Banco Bpm, all’11,6 per cento da Poste, al 9,5 per cento dal Fondo strategico italiano di Maurizio Tamagnini, e al 3,4 per cento Gamma Srl, società che fa capo a Francesco Gaetano Caltagirone. Insomma, ha uno «zoccolo» tricolore importante al quale però fa da contraltare la presenza di Crédit Agricole (l’Ad della filiale italiana Giampiero Maioli è il grande stratega) e quindi della sua controllata, il colosso del risparmio Amundi (si tratta della più grande realtà per la gestione di patrimoni in Europa), che ha una partecipazione intorno al 5 per cento, suddivisa tra diversi fondi.
Circa un mese fa, di fronte alle ennesime indiscrezioni che riportavano la volontà della società di gestione d’Oltralpe di rafforzare la sua posizione nell’asset manager italiano, c’era stata una levata di scudi. Il titolare della Difesa Guido Crosetto, tra i ministri che più si sono esposti, aveva avvertito: «Sarebbe un enorme problema per l’Italia se Crédit Agricole stringesse la sua presa sull’asset manager Anima holding e il governo dovrebbe occuparsene». E nell’agosto del 2022 sull’allora Twitter scriveva: «Mentre noi perdiamo tempo a dibattere sugli strafalcioni di questo o quel politico, Crédit Agricole continua la sua scalata per diventare il secondo polo “italiano” e per controllare tutto il risparmio gestito. Dopo Pioneer toccherà ad Anima?». Va ricordato infatti che tra il 2016 e il 2017 UniCredit aveva ceduto un’eccellenza del risparmio tricolore come Pioneer Investments ai francesi ottenendo una plusvalenza superiore ai due miliardi, fondamentale per rimettere in senso i requisiti patrimoniali della banca. Neanche a dirlo, all’epoca tra i pretendenti di Pioneer c’era anche una cordata tutta italiana che comprendeva Poste, Cassa depositi e prestiti e Anima che alla fine dovette ritirarsi dalla contesa.
Ma i tempi cambiano. E infatti i messaggi che arrivano oggi dall’esecutivo sono: frenate pure le ipotesi di assalto transalpino, perché questo governo è pronto a usare l’arma del «golden power» per garantire l’italianità dell’industria del risparmio. In ballo c’è un tesoro importante, circa cinquemila miliardi di euro tra conti correnti, fondi e patrimoni degli italiani, ovviamente ambito da molti e che lo stesso governo non ha mai fatto mistero di voler tutelare. Anima amministra un patrimonio di 177 miliardi e capitalizza a Piazza Affari circa 1,3 miliardi, negli ultimi tre mesi ha guadagnato tanto ma non tantissimo, circa l’11 per cento. Ed ha quindi ancora spazio per crescere anche in Borsa. Di sicuro il management continuerà nell’attività di scouting e se dovesse individuare «prede» interessanti non esiterà ad andare alla loro conquista. Detto questo, tutte le strade sono aperte. La Sgr guidata Melzi d’Eril al momento si pone come polo aggregante del risparmio in Italia, ma eliminata l’ipotesi francese non si può escludere che venga messa nel mirino da qualche big del settore mondiale, magari americana, vista con occhio più benevolo dal governo.
«Partiamo da un presupposto» spiega Andrea Caraceni, amministratore delegato di Cfo Sim a Panorama, «negli ultimi 20 anni a prescindere dal colore politico, l’industria del risparmio in Italia non è stata di certo favorita e tutelata dal legislatore. Si pensi solo alla diversa imposizione fiscale sull’Iva che grava tra un fondo domiciliato in Italia e uno che invece sta in Lussemburgo e Irlanda. O alle regole differenti sulle commissioni. Per questo una buona parte della liquidità delle famiglie è investita in fondi di diritto estero (le cosiddette Sicav) che però commercializzano i prodotti da noi. Detto ciò, auspico un futuro per Anima da polo aggregante della nostra nazionalità del risparmio e l’operazione Kairos è funzionale alla sua crescita, anche perché con l’acquisizione delle attività di private banking colma una lacuna e si lega ancor di più al Paese, ma se chi fa le norme creasse un terreno più fertile tutto sarebbe più semplice. E probabilmente molti dei nostri manager nel settore, che fanno la fortuna delle società straniere, potrebbero tornare in Italia».
In molti vedono una strategia del governo abbastanza chiara, strategia che avrebbe mostrato i primi passi con la cessione del 25 per cento del Monte dei Paschi di Siena al mercato e che dovrebbe completarsi nella prima parte del 2024 con l’individuazione di uno «sposo» italiano per la banca toscana in modo da creare il famoso terzo polo bancario. Non è un mistero che tra i potenziali pretendenti, il Tesoro guardi con favore all’ipotesi Banco Bpm. L’a.d. Giuseppe Castagna non perde occasione per smentire e per sottolineare che la volontà è quella di proseguire nella direzione «stand alone», uno sviluppo in autonomia; ma la moral suasion della politica, si sa, ha strade infinite. Nel caso l’operazione dovesse andare in porto, Anima che ha un legame viscerale con Siena – dall’accordo commerciale per la vendita dei prodotti, alla partecipazione all’ultimo aumento di capitale e all’acquisizione di una quota del Monte messa sul mercato dal ministreo dell’Economia – sarebbe la naturale ramificazione nella gestione del risparmio della nuova realtà del credito, anche perché Banco Bpm è il primo azionista della Sgr con il 21,7 per cento. L’italianità sarebbe al sicuro e il Tesoro farebbe così un doppio scacco.