Fermati dal Covid, per non allontare i fan, le star hanno moltiplicato la loro presenza virtuale. E così, da Twitter a Instagram, pontificano su tutto, anche quando il silenzio sarebbe d’oro…
In principio fu il Cantagiro. O Canzonissima, o Bandiera Gialla della premiata ditta Arbore & Boncompagni, dioscuri del successo a metà degli anni Sessanta. O, più avanti, il Festivalbar. De profundis per le grande kermesse musicali, ora ci sono i social: fatale che i menestrelli ne abbiano fatto una bandiera, a volte con qualche testacoda, vedi l’intramontabile Vasco Rossi detto il Blasco che, via Instagram, ha scagliato il suo anatema rock contro «Squilibrati, negazionisti e terrapiattisti del cazzo!». Tutto insieme spericolatamente. Quindi ha scomodato l’usurata massima kantiana attribuita a Luther King: «La mia libertà finisce dove comincia quella altrui». Democrazia in tetrapak, urlata in maiuscolo, alla Celentano. Lui la mascherina «se la porta a scuola», come dice una sua celebre hit. Ma poi? Vasco riaffiora da selfie in allegra compagnia di altri intransigenti quali Valerio Mastandrea e Andrea Scanzi: tutti rigorosamente senza mascherina.
Il Molleggiato, dicevamo. Figurarsi se l’uomo dai silenzi più pesanti che pensanti poteva privarci di una folgorazione sull’universo Covid: «Credo che la paura sia un atto di coraggio, per esempio il coraggio di non uscire di casa o fare scelte appropriate da parte di chi ci comanda. Credo che il nostro governo si stia muovendo nel modo più giusto». Prontissima, Ornella Vanoni l’ha artigliato via Twitter: «Meno male che ieri sera dalla Gruber ha telefonato Celentano che ci ha illuminato tutti. Lui che non esce mai di casa da vent’anni». Diceva il filosofo Ludwig Wittgenstein che «quel che si sa, si può dire chiaramente». Oggi correggerebbe: in 140 caratteri, o anche meno.
Ma nessuno tace, perché «Chi c’è c’è, chi non c’è non c’è»: Giovanni Lindo Ferretti, già ombroso leader dei CCCP, volava più alto ma l’aforisma è perfetto per quel tempio delle vanità conformiste che è oggi Twitter. Molti lo usano non solo per stringere un legame con i fan quanto per promuoversi; o, come illustra sul web Mariano Diotto, esperto in strategie di comunicazione: «I social network hanno acquisito un’importanza strategica nella commercializzazione della musica affiancandosi a tutti gli altri mezzi di comunicazione tradizionali». Da cui la figura, decisiva, del social media manager, alter ego dell’artista e insieme suo burattinaio.
Di più: il coronavirus, con i suoi isolamenti che hanno congelato ogni attività, ha suggerito un uso ancor più intensivo delle possibilità digitali: in quelle settimane drammatiche tutto serviva a corroborare il legame con un pubblico che condivideva la clausura e a cui una volta tanto si poteva dire senza mentire: io sono come te. Continua Diotto: «Si può così asserire che in questo momento il successo di un cantante non è più solo legato al numero di copie di cd venduti o alle presenze ai propri concerti, ma anche al numero di follower che si hanno nei social network».
Le strategie sono diversificate e a volte misteriose; Rossi su Twitter ha poco più di 700 mila follower e un suo messaggio è reiterato in una forbice modesta, tra 100 e 400 follower, ma su Facebook la musica cambia: la pagina ufficiale conta oltre 4 milioni di seguaci e ogni contenuto riscuote fino a 10 mila interazioni. Anche Renato Zero, pur ostentando diffidenza verso i social, ne sfrutta le potenzialità: quasi dormiente il profilo Twitter, mentre su Facebook il milione e passa di «sorcini» si scatena a ogni contenuto.
Un esempio interessante è Jovanotti, artista dell’età di mezzo che calibra la comunicazione su tutte le piattaforme: i risultati non mancano, su Twitter ha 4 milioni di follower, su Facebook lo seguono in 2,5 milioni, su Instagram in quasi 2 milioni. L’effetto rimbalzo è ottimo, ogni contenuto di Lorenzo Cherubini scatena migliaia di reazioni che travasano da una piattaforma all’altra.
In generale si può dire che le vecchie glorie restano più legate al social di Zuckerberg, usandolo non solo come vetrina promozionale ma come supporto di comunicazione diretta, mentre trapper e nuove leve si spostano su piattaforme più ruggenti, da Twitter a Instagram a TikTok.
La regola, comunque, non prevede eccezioni: nel mondo virtuale bisogna agitarsi altrimenti non si esiste. E pazienza se pochi conoscono Giovannino Guareschi, che Twitter l’aveva preconizzato quando, rinchiuso in un lager, s’inventava un lessico con cui evadere dalla prigionia delle poche righe concesse a ogni lettera: «Paccami lancorredo», mandami un pacco con roba di lana. Il comandamento oggi non è sopravvivere, è manifestarsi e così il celebrato Vinicio Capossela, abbonato ai concertoni del Primo maggio, in collegamento con Agorà Estate di Rai 3 distilla il suo saggio di stile: «Sulle ragazze [la mascherina] le rende protagoniste di un fascino particolare, come se fossero donne orientali. Insomma, la mascherina è un cappello per la bocca». Senza parole.
Un’altra che sui social la fa da padrona è Fiorella Mannoia: non c’è scenario che sfugga alla sua generosità analitica e il protagonista, in negativo, è quasi sempre Matteo Salvini, quando non la Lega intera, fulminata da chiose quali «fin dove può arrivare la bassezza umana» e, rincarando, «quando si dice miserabili».
Ma se la Mannoia è il prototipo, non mancano le emergenti come Elodie, trentenne uscita dalla fucina di Amici, forte del tormentone Tequila e guaranà; altrettanto scatenata in raffiche di tweet contro il Matteo padano: «Salvini? Piccolo uomo. Offende gratuitamente scatenando odio». Elodie, ad maiora, precisa col Corriere della Sera: «Non mi piace come la Lega cerca di accalappiare voti. Il Paese è meglio di chi lo rappresenta. Certo, c’è tanta ignoranza». L’ignoranza non manca mai.
Pure il cantautore toscano Motta, «marito dell’attrice Carolina Crescentini» come da biografia, essendo un esponente della nouvelle vague alternativa deve difendere una sua integrità: «C’è ancora gente che giustifica le discoteche: andate a fanculo e rispettate le regole come tutti». Storia a sé ha fatto quel pasticciaccio brutto di Andrea Bocelli, con una riflessione contromano a un convegno organizzato in Senato da Sgarbi: «Io conosco un sacco di gente e grazie a Dio nessuno che fosse finito in terapia intensiva». Lui il coronavirus se l’era pure beccato, ma non ha ricevuto pietà: attacchi furibondi sul suo talento, la sua etica, perfino la sua condizione. Alla fine ha capitolato: «Chiedo sinceramente scusa per le mie parole sul Covid-19».
Più battagliera Elettra Miura Lamborghini, la fuoriserie del twerking, a Sanremo col reggaeton Musica (e il resto scompare). Grigliata sui social dopo alcune serate senza protezioni, ha sospeso le esibizioni e quindi annunciato le sue nozze con il fidanzato Afrojack, deejay e produttore, chiedendo agli invitati di sottoporsi a tampone. Non è bastato e lei su Instagram è sbottata: «Il coronavirus vi ha trasformato in serpi». Nell’asse trasversale del pandemicamente corretto non mancano i campioni veri come Adriano Panatta: «Ho visto il corteo dei negazionisti a Berlino, certo che ce ne stanno de cojoni in giro». «Pure tra gli ex tennisti, Adria’», l’ha infilato in lungolinea qualcuno su Twitter. Perché chi di tweet ferisce…