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Alla ricerca dell’acqua

Alla ricerca dell’acqua

Guida ai borghi che hanno laghi e fiumi come piazze, strade e panorami. Luoghi magici dove il tempo pare essersi fermato.


Di questi tempi non vincerebbe Sanremo, eppure il suo Canzoniere ha potenza, portata e fama universale. Con la Primavera che bussa al cuore e scalda l’anima, rinfrescarsi con un tuffo nelle «Chiare, fresche et dolci acque, ove le belle membra pose colei che sola a me par donna…» dà un senso di sollievo e di benessere. Ed è quello l’autore del Canzoniere, Francesco Petrarca, andava cercando alla sorgente del Sorgue, là dove la Provenza si veste di mille profumi. Chissà se a quest’aretino che aprì lo «Stil novo» al mondo, quelle acque ricordavano il gorgogliare del Ciuffenna, il torrente che attraversa il borgo di Loro Ciuffenna nel Valdarno, dove un mulino da mille anni macina castagne per farne farina che diventa neccio da mangiarsi con la ricotta del Pratomagno o del Casentino. Seguendo il Ciuffenna che va in cerca dell’Arno si contano almeno dieci mulini e un continuo chiocciare d’acque ad Agna di Pratovalle che fa da avamposto a Roveraia, il paese fantasma dove però resiste il ponte di Annibale. Il condotiero cartaginese lo passò davvero nel 217 a.C. con tanto d’elefanti, evidentemente in pieno cambiamento climatico.

Sono viaggi d’acqua quelli che si debbono fare quando la natura si risveglia. Restiamo dalle parti del Petrarca per andare in Garfagnana, altri mulini altri torrenti: siamo a Fabbriche di Vallico in una foresta di castagni. A Santa Fiora, sulle pendici dell’Amiata, la peschiera fa da piazza e consente al Fiora, il fiume che disseta la Maremma, di farsi lago urbano. Come a Bagno Vignoni dove le terme sono la piazza. È una frazione di San Quirico d’Orcia e siamo in uno dei paradisi dell’Unesco. Qui le acque termali sgorgano da sempre, prima i romani poi gli etruschi ne facevano uso terapeutico; nel Cinquecento i granduchi medicei decisero di farne piscina regia. E così il paese che non ha più di trenta abitanti s’affaccia su di un centro liquido. È uno spettacolo unico e per i cinefili sarà una suggestione in più ricordare. Il film Nostalghia di Andrej Tarkovskij ha come epicentro l’agorà piscina dove Caterina da Siena veniva a lenire le stimmate.

A poco più di 60 chilometri ecco un altro inferno d’acque che svaporano nelle mille vasche che l’accumulo di calcare ha creato: sono le jacuzzi della natura, quelle di Saturnia un borgo che vive d’acqua in mezzo alle vigne della Maremma. Da lì il salto in Umbria è breve: si risale lungo il Nera, il più potente degli affluenti del Tevere, il più anomalo dei fiumi. Invece di pigliare lo spartiacque marchigiano, come gravità vorrebbe, quasi fa una capriola è s’avvia verso ovest con una portata imponente. Il primo luogo d’incanto è Scheggino dove si passa da una vasca all’altra, che pare di nuotare invece di camminare. La massima suggestione – anche se purtroppo involgarita da un turismo poco rispettoso e molto incline al selfie- si ha a Rasiglia, propaggine orientale di Foligno dove non ci sono strade, ma rive di torrenti e tutto il borgo sembra sospeso in una bolla di cristallo.

Sul versante opposto sempre a Foligno ecco Pale che non conta più di cinquanta anime, un tempo vivano tutti di cartiera, oggi di turismo. D’acqua qui ce n’è tanta e impetuosa, precipita dall’Eremo di Santa Maria di Giacobbe un nido d’aquile e di fede. Stifone è una frazione di Narni, siamo ancora lungo il Nera e in Umbria. Qui non più di quaranta persone vivono specchiandosi nelle acque del fiume che disegna il paesaggio e fa scorrere la vita e le vite. Ritenere che siano solo i borghi, i luoghi dove gira la ruota di un mulino gli unici che possono dirsi fatti d’acqua è riduttivo. In Italia dove Venezia è il più splendente degli archetipi ci sono diverse declinazioni di città-canale. Due s’ispirano alla Serenissima. In riva al Tirreno c’è Livorno, inventata dai Medici dopo che il porto pisano s’era insabbiato. La citta è percorsa da canali col Fosso Reale che fa da corso principale e fu teatro della «beffa» delle false teste di Modigliani. C’è un quartiere che si chiama appunto Venezia, cantato, tanto per tornare al cinema, da Paolo Virzì in Ovo Sodo che è il titolo del film, ma anche il quartiere centrale di Livorno che al Palio marinaro mette in acqua una barca dai colori bianco e giallo (da qui il soprannome gastronomico).

La Venezia Nuova nacque nella prima metà del Seicentoquando si doveva ingrandire la città, il canale dei Navicelli ne è l’arteria principale, su di esso si affacciano i fondaci e i magazzini del porto antico difeso dalla Fortezza Nuova che mai fece guerra. Si adottarono per costruire il quartiere gli stessi criteri su cui è fondata Venezia e dalla Serenissima vennero le maestranze. Un po’ quello che accadde anche a Treviso che pure di Venezia porta le insegne. È un susseguirsi di canali, di ponti, d’affacci d’acqua che scandisce il tessuto urbano a partire dal Buranello (o Cagnan Medio) il canale che percorre come un’arteria vitale tutto il centro storico di Treviso racchiuso nelle mura cinquecentesche. Il tour sull’acqua in Italia ora volge al Ponente ligure, a Dolceacqua patria di uno dei vini più famosi di Liguria il Rossesse, ma accoccolata sotto il castello Doria, dominata dal suo ponte del diavolo e pervasa dallo scorrere del Nervia.

Lungo il Mincio c’è Valeggio che regala scorci di suggestione anche gastronomica (non provare il Nodo d’amore che è una variante saporita dei tortellini è un delitto di lesa golosità). Borghetto, che ne è una frazione, è uno specchio di Venere. Così come lo sono i Giardini di Ninfa a Cisterna di Latina, un paradiso dove la Primavera imita se stessa per come l’ha immaginata Sandro Botticelli. Pare declamare «sono colei che all’umanità sola par donna!».

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