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Questa medicina fa bene alla storia

Questa medicina fa bene alla storia

Da quando l’Occidente infranse il tabù del corpo con la prima autopsia (era il Quattrocento), alle opportunità dell’Intelligenza artificiale (e i suoi pericoli) in fatto di terapie. Un libro racconta una galleria di personaggi, i fallimenti e le illuminazioni che hanno migliorato la salute della specie umana. Un’avventura della conoscenza che diamo troppo per scontata.


L’Oscar per «l’illustre dimenticato» dovrebbe andare ad Arrigo Visentini, che individuò e descrisse i meccanismi del diabete (di cui nel mondo attualmente soffrono circa 350 milioni di persone). Per questo il giovane ricercatore mantovano ricevette a Harvard il prestigioso Warren Triennal Prize, che per intenderci conta nella propria lista di premiati parecchi premi Nobel. Era il 1913. Di Visentini si ricordano in pochissimi. Poi, ovviamente, nella medicina spiccano personalità famose come Louis Pasteur, fondamentale sperimentatore dei vaccini, la pioniera della radioterapia Marie Curie, o Florence Nightingale che, dopo la guerra di Crimea di metà Ottocento, ideò e organizzò l’assistenza infermieristica. E ancora, ci sono invenzioni come l’anestesia e gli antibiotici, ci sono la dissezione del corpo e le intuizioni sul cervello. Oggi la cura e le sue origini sono date per scontate, nell’era dell’istantaneità. Per arrivarci, però, c’è stata da percorrere una strada accidentata tra superstizioni e test, fallimenti e dolori infiniti, ospedali e campi di battaglia, tentativi empirici e illuminazioni decisive. È bene ricordare che la durata media della vita nella Roma imperiale era di 25 anni, 35 nel Cinquecento e, fino agli anni Venti del secolo scorso, i longevi erano pochi…

Ripercorrere la storia della medicina è un’avventura attraverso i millenni, dagli antichi egizi al presente. Bisogna saperla raccontare, però. Ecco che Paolo Mazzarello, docente della materia all’università di Pavia, ne è stato capace nella sua Storia avventurosa della medicina, da poco pubblicato da Neri Pozza. Trascinante come un romanzo, denso di dati e sostanza come dev’essere un saggio. «Da una parte ho trattato, in particolare, alcuni temi della medicina per seguirne meglio sviluppo e connessioni» dice l’autore. «Dall’altra ho voluto raccontare gli esseri umani, gli scienziati e la gente comune, con gli aspetti emotivi, intuizioni e miserie, i casi fortuiti che hanno fatto la differenza nel progresso scientifico».

Si guarisce con la cura. Perché allora comincia il libro dalla «fine», cioè dalla dissezione del corpo dopo la morte?

È la radice della medicina. Solo rendendosi conto di com’è fatto l’organismo si comincia a capire davvero come risanarlo. Fino al Medioevo violarlo era un tabù. In pochissimi si erano spinti nello studio dell’«interno». È la stessa Chiesa, oscurantista all’epoca di Galileo, che con papa Sisto IV nel 1482 dà il permesso di dissezionare un cadavere. Poi, nel Cinquecento, è arrivato l’anatomista Vesalio con le sue osservazioni e descrizioni. Poter guardare dentro l’essere umano ha avuto un valore simile puntare il cannocchiale verso le stelle. E questa conquista è una prerogativa dell’Occidente. Presso altre civiltà il corpo è rimasto sempre inaccessibile per l’indagine medica.

Se si evoca il nome Edward Jenner, a Milano per esempio, è probabile che venga associato al massimo a un viale. Invece?

È colui che ha immaginato e sperimentato la vaccinazione contro il vaiolo, osservando gli effetti del virus sulle addette alla mungitura delle mucche affette dal morbo. Un passaggio cruciale per l’umanità: nel Settecento su cento contagiati 30 morivano.

Poi è arrivato Pasteur, però.

Rispetto all’«empirico» Jenner è il «teorico» che comprende appieno il meccanismo della vaccinazione – usare un elemento patogeno modificato per immunizzare – e lo applica anche a morbi come colera dei polli e rabbia. È poi straordinario che Pasteur di mestiere facesse il chimico, non il medico.

Lei racconta decine di personaggi che infrangono schemi consolidati. Chi erano Ignác Semmelweis e William Halsted?

Sono figure che hanno rivoluzionato l’igiene ospedaliera. Il primo, ungherese, individuò le cause della febbre puerperale che faceva moltissime vittime tra madri e neonati, perché nessuno dei sanitari prima delle visite disinfettava le mani. Oggi, poi, un intervento chirurgico senza guanti di gomma è impensabile; ma fino al 1890 non esistevano e ci si lavava solo con bicloruro di mercurio. Ecco che Halsted, americano, ebbe l’idea di chiedere alla Goodyear di produrre delle protezioni in lattice efficacemente sterilizzabili. Si ridussero così drasticamente infezioni e contaminazioni sui pazienti.

I traguardi della medicina possono avere uno scopo politico?

Penso a Pasteur che con Robert Koch si disputò la primogenitura della batteriologia. Così la storica rivalità tra Francia e Germania a metà Ottocento «contagiava» anche la scienza.

«Evitare il dolore in un intervento è una chimera», scriveva il chirurgo Alfred-Armand-Louis Velpeau nel 1839. Niente anestesia fino ad allora?

Estrarre un dente come amputare un arto procuravano sofferenze incredibili. Poi per caso si scopre il gas esilarante, utilizzato negli spettacoli viaggianti. Solo in seguito è arrivato il cloroformio: ne fu formidabile «testimonial» la Regina Vittoria, terrorizzata dai dolori del parto. La chirurgia, con il nuovo anestetico, a quel punto ha fatto un altro, enorme, passo in avanti.

Perché i Beatles hanno contribuito all’invenzione della Tac?

Perché Godfrey Hounsfield riuscì a costruire il primo macchinario per la tomografia assiale con il servizio sanitario inglese ma anche grazie alla Emi, la casa discografica dove lavorava come ingegnere elettrotecnico. I fondi arrivarono anche dai proventi del successo planetario del gruppo di Liverpool alla fine degli anni Sessanta.

Quali campi della medicina hanno segnato di più la storia umana?

Oltre alla dissezione, direi la scoperta della circolazione del sangue nel Seicento. Poi, la teoria microbiologica delle malattie da cui derivano gli antibiotici. E, ancora, le neuroscienze. Il cervello come «centrale di controllo del corpo». La concezione è dovuta a un grande ricercatore italiano, Camillo Golgi. A fine Ottocento, a Pavia, è lui che studia e delinea l’architettura cerebrale con il ruolo basilare delle cellule nervose. Da qui derivano molte scoperte delle neuroscienze, che oggi sono la frontiera più avanzata della medicina. E, dopo tanti obiettivi raggiunti, in questo stesso campo incontriamo i nostri limiti. Possiamo descrivere come funziona l’organo del pensiero, le aree che si attivano a seconda degli stimoli. Ma non riusciamo a spiegare come da 100 miliardi di neuroni collegati da sinapsi possa scaturire la coscienza. Il passaggio dalla fisiologia a ciò che riguarda il nostro essere nel mondo. Così la scienza deve ancora lasciare il passo alla filosofia.

Parlando delle cure, occorre parlare del ruolo delle Big Pharma.

Nella storia i farmaci sono i proiettili usati contro le malattie. Certo, chi li produce può utilizzarli o indirizzarli in modo ambiguo. Prendiamo i vaccini. In molti Paesi alcuni importanti non sono obbligatori, e pure hanno salvato milioni di esseri umani in ogni approccio terapeutico sono discriminanti la componente etica e la corretta informazione. Potere o volere applicare questi principi poi dipende comunque da scelte umane.

L’intelligenza artificiale accelererà tutto, ricerca medica compresa. Lei che cosa immagina?

Con l’Intelligenza artificiale, per esempio, si interpretano già esami radiografici e ecografici con un’accuratezza molto superiore a quella umana. Si individuano possibili formule di antibiotici con una rapidità prima impensabile, com’è appena successo in America. Anche questo però è uno strumento, in bene o in male, governato dalla componente umana. Almeno per ora.

Nella storia della medicina c’è il fascino di scoperte e protagonisti. Ma perché è importante?

Si fa storia dell’economia come della politica, ma non si parla abbastanza di come malattie e terapie – il Covid ce lo insegna – condizionino in modo potente la traiettoria dell’umanità. Questa storia, al di là degli aspetti scientifici, ci fa confrontare con i confini della vita.

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