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Benedetta Pilato (Ansa)
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Sì, c’è il fenomeno italico del tennis, tra peana di vittoria (e qualche polemica). Ma da Benedetta Pilato a Filippo Della Vite, passando per lo «straniero» Paolo Bancheri, allarghiamo lo sguardo: si affaccia una generazione di giovani talenti sportivi che «farà l’impresa».


Per una volta la cicogna ha sorvolato le Alpi ed è atterrata in Italia, non si è fermata prima». Il saggio Paolo Bertolucci, caposaldo della Squadra che con Adriano Panatta fece la storia del tennis, ha una curiosa spiegazione ornitologica del fenomeno Jannik Sinner. Questione di cromosomi e di genio affinato dalla fatica, di capacità di soffrire forgiata a San Candido nella baita dei nonni prima che allo Sporting Club di Montecarlo. Dove l’arrivo dell’altoatesino di 22 anni fa vorticare le palline dei benpensanti Irpef, gli stessi che non hanno mai avuto problemi a perdonare i piloti della Ferrari o la fuga all’estero di Fca e Ferrero.

Diffidenze reddituali a parte, il divino pel di carota ha risvegliato l’emotività nazionale, accompagnata dal delirio dei nostri sportivi; era sopita dai tempi di Marco Pantani, Alberto Tomba e Valentino Rossi (gli ultimi due pure aficionados del Principato).

Sarà per colpa di Fausto Coppi e Gino Bartali, sta di fatto che l’italiano medio è da sempre affascinato dall’uomo solo al comando: lo ammira, lo deifica, tenta fantozzianamente di imitarlo e quindi si appresta a vivere un 2024 bestiale, dimenticandosi di andare a letto per non perdere le dirette del pirata Jannik alla conquista dell’America.

Per il tifoso con le occhiaie arriva una notizia meravigliosa: Sinner non è solo, ha fratelli e sorelle pronti a scatenare la rivoluzione dei millennials, marziani digitali col destino da podio. E non solo nel tennis, dove il carrarese Lorenzo Musetti (21 anni) avanza con passo sicuro e ha già battuto il piccolo principe Carlos Alcaraz e sua maestà Novak Djokovic. Qui si parla di un’invasione a tutto tondo, di una crociata dei bambini che nell’anno delle Olimpiadi di Parigi, previste dal 26 luglio all’11 agosto, sono pronti a dare una spallata al potere costituito italiano e mondiale.

La leader dei rivoluzionari spunta dall’acqua, ha le pinne da squaletto e il sorriso da fatina. È Benedetta Pilato e un record l’ha già battuto: all’età di 14 anni e sei mesi è stata l’atleta azzurra più giovane a debuttare in un campionato mondiale, cancellando il primato di Federica Pellegrini. La nuotatrice tarantina adesso ne ha 19, è un fenomeno nei 50 e 100 rana, ha vinto i mondiali e gli europei, è pronta a entrare nel club dei fuoriclasse e a guadagnare soldi veri come testimonial. Ha già preso anche qualche porta in faccia, fallendo i Giochi di Tokyo per inesperienza. Ma come dice Max Allegri, allenatore della Juventus, «solo perdendo si impara a vincere».

Ha preso la maturità scientifica e si è trasferita a Torino dove, fra un allenamento e l’altro, studia biologia. La rana è la specialità più tecnica e innaturale del nuoto, leggenda vuole che i ranisti siano da sempre considerati originali, accompagnati da un filo di follia come i velocisti. I tecnici di mezzo mondo chiedono i video delle sue gare, incuriositi dalla nuotata unica, con le bracciate a pelo d’acqua e la testa fuori. A chi le vaticina un futuro da top, Pilato risponde così: «È stata la rana a scegliere me, fin da piccola. Non mi sento addosso alcuna pressione, non stressatemi. Ho ancora un sacco di tempo davanti». Pellegrini la osserva crescere, un po’ si rivede in lei e le regala un consiglio: «Se vuoi vincere tieni braccia e corpo in acqua ma i piedi per terra, ragazza mia».

C’è poi chi avanza nel nome della madre. Dovendo scegliere fra salto in alto e salto in lungo, la fiorentina Larissa Iapichino (21 anni) alla fine ha privilegiato la specialità di mamma Fiona May, ex campionessa, dedicando le vittorie a papà Gianni Iapichino (valido saltatore con l’asta) per consolarlo. Da quelle parti è tutto in famiglia, sanno come collezionare successi sul tartan. Infatti Larissa è già una molla a 16 anni quando entra fra le migliori lunghiste italiane di sempre. Ora punta a Parigi in una delle specialità più matematiche dell’atletica: rincorsa, stacco, volo, atterraggio. Tutto da memorizzare «n» volte, con la consapevolezza che il minimo errore significa fallimento.

Sulla pedana accanto prende la rincorsa (stessa specialità) Mattia Furlani, 19 anni, nato a Marino fra la dolcezza dei Castelli romani, testa giusta e muscoli di seta, pura dinamite quando «stacca l’ombra da terra», per dirla con Daniele Del Giudice. Con lui sono destinate a saltare anche le previsioni; non fai in tempo a certificare un record che ne polverizza un altro (l’ultimo settimane fa, a Stoccolma, con 8,08, primato europeo indoor under 20). Stupefacente ciò che accadde a Savona l’anno scorso. Furlani saltò e atterrò in un’altra dimensione: 8,44, record mondiale giovanile, neppure Carl Lewis alla sua età aveva raggiunto quelle misure. E stiamo parlando del «figlio del vento».

Proprio il maestrale che soffiava oltre i limiti consentiti impedì ai giudici di omologare il primato. Ma non annullò la felicità di chi lo aveva ottenuto. «Quando ho visto la misura di 8,44 sono impazzito. Il vento è uscito sul tabellone poco dopo, ma questo non ha cambiato la mia reazione, è una prestazione grandissima. Sto crescendo e ho migliorato tante cose, a partire dalla rincorsa. Ho messo dentro molta più forza di prima». Se ne sono accorti tutti: a fine 2023 è stato nominato dall’European athletic association «Atleta europeo emergente dell’anno».

Generazione Z che cresce. Con un valore antico a fungere da collante: la famiglia. Era trascorso solo un minuto dal match point contro Daniil Medvedev quando Sinner ha detto: «Ringrazio innanzitutto la mia famiglia. Mi ha permesso di scegliere il meglio per me, mi ha insegnato il valore della libertà». Papà Hanspeter e mamma Siglinde come paradigmi sociologici del successo di un campione. Esattamente ciò che succede a Filippo Della Vite, 22 anni, sciatore bergamasco con lampi da valanga azzurra. È lo slalomista più promettente d’Italia in ottica Olimpiadi Milano-Cortina 2026; potrebbe avere un paio di coach ma si fida soprattutto di suo padre. «Mi porta sulle piste da quando avevo tre anni, mi ha insegnato a divertirmi, non ho mai preso lezioni dai maestri. Per fare il salto di qualità, più che sulla tecnica devo lavorare sulla testa. È un punto di forza perché in gara spingo fregandomene di ciò che mi circonda. È un punto debole perché ogni tanto butto via le vittorie per non aver riflettuto». Preciso a Tomba, almeno in questo.

Stefano Turati è nato a Milano, indossa i guantoni da portiere a Frosinone, ha 22 anni e quando ne aveva 18 ha fermato la Juventus di Cristiano Ronaldo. Era il terzo portiere del Sassuolo, mai avrebbe immaginato che gli altri due si infortunassero e lui esordisse in Serie A quel giorno a Torino. Gli emiliani portarono a casa la pelle
(2-2) grazie alle sue parate. «La più difficile fu quella su una punizione di Ronaldo, perché lui non è un giocatore come gli altri e quando te lo trovi di fronte la tensione va a mille». Oggi è uno dei portieri più in carriera del campionato e c’è chi lo vede in Nazionale dietro a un altro enfant prodige, Gigio Donnarumma.

Se qualche cicogna speciale ha varcato le Alpi, molte altre sorvolano il mondo portando futuri campioni in altri Paesi. Quella atterrata 21 anni fa sul tetto di casa Bellingham, a pochi chilometri da Birmingham, doveva avere le ali d’oro. Ora Jude è il golden boy del calcio mondiale, fenomeno numero uno del Real Madrid di Carletto Ancelotti, già pronto con giocate e gol a prendersi il trono vacante di CR7 e Leo Messi. Lui nel football come Paolo Banchero (che di secondo nome fa non a caso Napoleon) nel basket Nba. Nato a Seattle nel 2002 da papà di Valbrevenna dietro Genova, poteva essere la stella della Nazionale azzurra di pallacanestro ma ha preferito indossare la canotta yankee.

La banda Sinner è in marcia verso il potere, ma nulla va dato per scontato. Lo insegna la parabola del più veloce di tutti, Issam Asinga (19 anni), sprinter del Suriname. L’ erede designato di Usain Bolt, capace di correre i «cento» in un soprannaturale 9.89, primato del mondo under 20. Dopo averlo innalzato sul trono lo hanno già beccato dopato. Ha fatto tutto in fretta, forse troppo. ■

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Giorgio Gandola