Gli scatti immortali di Robert Doisneau a Verona. quelli di David «Chim» Seymour a Venezia. il fermo immagine sulla realtà di Steve McCurry a Pisa. e poi: Aldo Fallai, Joan Fontcuberta, Franco Fontana… Ecco le mostre che, da sole, valgono un viaggio.
Françoise Bornet continuerà a baciare in eterno il suo fidanzato, come fece in una strada di Parigi per uno scatto diventato celebre, finito in milioni di poster, imitato e studiato da schiere di fotografi. Françoise è mancata alla bella età di 93 anni, lo scorso Natale. Ne aveva una ventina quando cedette alla richiesta di Robert Doisneau: lei e Jacques, il suo ragazzo (poi nella vita presero strade diverse), si misero in posa, in cambio di pochi franchi, per regalarci un bacio più vero del vero, ancorché frutto di una messinscena, come tutte le immagini in apparenza naturalistiche del grande fotografo francese. Quello scatto, con molti altri del celebrato autore, è in mostra al Palazzo della Gran Guardia (Verona) fino al 14 febbraio, giorno degli innamorati, dunque dei baci più romantici. Doisneau, con Henri Cartier-Bresson fulcro della fotografia umanista, ha uno sguardo unico nel documentare la vita minuta, non per questo trascurabile, che si svolge nelle strade, nei caffè, nei mercati. Parigi è il suo libro aperto, città universale che ci restituisce in bianco e nero in ogni piega.
Un altro grande autore ci aspetta a Venezia, fino al 17 marzo, al Museo di Palazzo Grimani. È il polacco David «Chim» Seymour, presente con 200 pezzi tra foto, documenti, lettere e riviste che ne descrivono il lavoro. Seymour fu presidente della celebre agenzia Magnum e realizzò reportage dalla guerra civile spagnola, dal Medio Oriente per la nascita di Israele, dal Messico. Ebbe una vita avventurosa: fu anche, durante la Seconda guerra mondiale, nel servizio spionistico degli Stati Uniti. Una mitragliata egiziana lo uccise nei pressi del Canale di Suez, nel 1956: era laggiù per immortalare uno scambio di prigionieri. Ancora Venezia, sempre più ricettiva per le arti dell’immagine, mette sul podio la fotografia con la mostra dedicata a Joan Fontcuberta (Museo Fortuny, fino al 10 marzo).
Si chiama Cultura di polvere, è curata da Francesca Fabiani e ha appena inaugurato la stagione espositiva del Fortuny. Sono visibili le 12 light box realizzate dall’artista catalano, in proficuo dialogo con le collezioni storiche dell’Iccd – Istituto centrale per il catalogo e la documentazione – di Roma, fondato a fine Ottocento come gabinetto fotografico. Fontcuberta, con il tocco surrealista presente in ognuna delle sue opere, ha lavorato su lastre deteriorate, con l’intenzione di generare fotografie «amnesiche», senza più memoria (un paradosso: la fotografia è costituita di memoria).
Lasciamo il Veneto per Pisa, dove agli Arsenali Repubblicani (fino al 7 aprile), che per la prima volta accolgono una mostra fotografica, sono esposte 90 immagini realizzate da Steve McCurry, reporter con l’obiettivo sempre pronto a catturare intensi momenti e sguardi, da quello celeberrimo e premiatissimo della ragazza afgana con gli occhi verdi, ai guru indiani, a uomini e donne coinvolti in guerre, migrazioni, calamità. Se qualcuno si chiede come la fotografia possa lasciare un segno duraturo, persino scuotere le coscienze, ecco, McCurry è la risposta.
Mostra imperdibile, a Milano, quella dedicata ad Aldo Fallai, all’Armani Silos, fino all’11 agosto. Curata da Giorgio Armani in persona (con Rosanna Armani e Leo Dell’Orco) è una retrospettiva che rende conto della perfetta simbiosi artistica tra il fotografo fiorentino e il re degli stilisti. Dal 1977 al 2021, possiamo ripercorrere attraverso le immagini, molte in elegantissimo bianco e nero, la storia della moda italiana che si è imposta nel pianeta (e che nessuno per fortuna riesce ancora, grazie a Re Giorgio e altri protagonisti, a detronizzare).
Ha lavorato molto con i nomi della moda anche Helmut Newton (1920-2004), fotografo famoso per le immagini di nudo, intrise di erotismo a tratti sadomaso. A Roma, al Museo dell’Ara Pacis, fino al 10 marzo è in corso «Legacy», oltre 200 opere newtoniane (80 inedite), summa di un artista che aveva come spirito-guida la seduzione. Magnifica la serie dei Big Nudes, memorabili i ritratti di leoni del fashion quali Yves Saint Laurent, Thierry Mugler, Karl Lagerfeld (e di una leonessa, Coco Chanel). La mostra, ideata per il centenario dalla nascita del fotografo, doveva inaugurare nel 2020, la pandemia ne ha fatto rimandare l’apertura. Virna Lisi che si fa la barba, con viso insaponato pronto a ricevere le carezze del rasoio? C’è anche questa immagine, giustamente notissima per l’idea spiazzante che l’ispira, a Jesi, città natale dell’attrice protagonista di molti film, contesa da registi e produttori anche internazionali, nella mostra Virna Lisi. Diva e antidiva, allestita a Palazzo Bisaccioni (fino al 5 maggio). L’attrice è raccontata, nella sua bellezza e versatilità, da grandi fotografi. La foto stile barbiere è di Carl Fischer, ma ci sono immagini di Douglas Kirkland, di Angelo Frontoni, di Veronica Pesci (moglie di Corrado Pesci, figlio della diva) e altri.




Dall’8 marzo torna il Brescia Photo Festival, che come fulcro continua ad avere il museo di Santa Giulia. Ospita una mostra monografica su Franco Fontana, modenese, oggi novantenne, apripista dell’uso artistico del colore nella fotografia. Sono 122 le immagini in mostra, coloratissime e poetiche, realizzate tra 1961 e 2017. Più avanti, a giugno, il festival bresciano renderà omaggio a Carlo Orsi, milanese, scomparso nel 2021 dopo una vita da protagonista nello scenario culturale e artistico meneghino, dalla Brera del bar Jamaica, al libro in sole 500 copie (rarissimo anche sul mercato antiquario) con testi di Dino Buzzati, alle cento figure del mondo modaiolo, tutto visto in un bianco e nero struggente.
Invece a Torino, dal 14 febbraio al 2 giugno, la rassegna che attirerà visitatori da tutta Italia è al museo Camera, con le immagini realizzate da Robert Capa e Gerda Taro che, per la prima volta, mettono in luce il rapporto professionale e sentimentale corso tra i due. Capa e Taro si incontrarono a Parigi, nel 1934. Fu lei, tedesca in fuga dalla Germania nazista, prima donna fotoreporter di guerra, a battezzare Robert Capa, ungherese che di vero nome faceva Endre Friedmann. Con 120 scatti, la mostra – curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi – racconta un sodalizio artistico che ha marcato profondamente la storia della fotografia da scenari bellici. La Taro, per inciso, morì sotto un carro armato nel 1937, durante la guerra civile di Spagna.
Chiudiamo il nostro percorso a tappe fotografiche prossime venture o in essere con un’icona della cultura pop alla Galleria d’Arte Moderna di Palermo. Frida Kahlo. Una vita per immagini ripercorre un’impetuosa biografia all’insegna dello spirito rivoluzionario (fino al 3 marzo). Kahlo è svelata nei ritratti che le fecero grandi fotografi, alcuni in relazione sentimentale con l’artista. I nomi sono illustri: Edward Weston, Leo Matiz, Nickolas Muray, Lucienne Bloch. In visione anche il prezioso catalogo di una mostra parigina di Frida Kahlo, curata nientemeno che dal surrealista André Breton, negli anni Trenta.
