Enrico Buonocore ha costruito un vero impero sui crostacei. Dopo il primo ristorante Langosteria a Milano nel 2007, ha trasformato il suo brand in un modello da esportare. Ha aperto a Paraggi, Sankt Moritz, Parigi. E l’anno prossimo, a Londra. Crescita aiutata dall’ingresso in società della famiglia Ruffini, imprenditori della moda (marchio Moncler). Connubio, quello tra fashion e food, che ha contagiato anche altri famosi nomi…
Non ha stelle Michelin, ma la quasi totalità dei ristoranti che invece le stelle possono vantarle ne invidiano le performance, quel particolare tocco magico, l’atmosfera irripetibile, la cultura dell’accoglienza, la gioia che pervade i commensali e li fa tornare felici per altre cene. Il miracolo è originato dal sogno di Enrico Buonocore, milanese di origini amalfitane che a 31 anni, nel 2007, aprì a Milano in via Savona il suo primo ristorante con il nome Langosteria. Pesce al top e crostacei strepitosi grazie alla liaison con i proprietari dei migliori banchi del mercato ittico milanese, il più grande e vario (non tutti lo sanno) della Penisola. Buonocore non sbaglia formula: viene dalla periferia, lavora da sempre con tenacia maniacale, intuisce quel che il cliente desidera perché sa mettersi nei suoi panni.
Un ristorante così a Milano non c’era. Diventa subito il luogo dove svolgere i riti sociali più gradevoli. Ai tavoli gente famosa, donne di fascino e spesso in carriera, gourmet che sanno scegliere e bere al meglio (150 etichette di Champagne, regia vinicola Valentina Bertini), uomini d’affari che siglano intese mentre divorano il King Crab, fidanzati che si guardano golosi negli occhi, colleghi riuniti per un avanzamento, famiglie altolocate intorno alle candeline di un compleanno. Da Langosteria ci si fa anche vedere, certo, siamo nella società dell’apparire. Ma non è il motivo del successo. Se i numeri sono quelli di un’impresa che va a gonfie vele (fatturato 2023, 49 milioni di euro), il merito è della cucina, del servizio, dello stile di arredo, della musica non invadente ma avvolgente, dei vini proposti, dei bagni immacolati. Il mix perfetto di un locale gastronomico, ma sappiamo quanto sia difficile trovarlo.
Così Buonocore cresce, la sua fama supera i confini milanesi. Langosteria non resta a lungo un solo ristorante. A Milano aprono il Bistrot, Langosteria Cafè, Langosteria Cucina. E nascono gli indirizzi esterni alla metropoli meneghina: sulla spiaggia a Paraggi, tra Santa Margherita e Portofino, nella Liguria più esclusiva (in estate); a Sankt Moritz sulle piste da sci (in inverno). Se è presto per definire l’impresa un impero, possiamo dirlo un regno in espansione, un brand internazionale di successo. Rafforzato con l’ingresso in società della famiglia di Remo e Pietro Ruffini, imprenditori della moda (marchio Moncler), da quando nel 2018 Archive, controllata da Ruffini Partecipazioni Holding, rileva il 40 per cento di Langosteria per supportarne la crescita internazionale. Buonocore, ceo del Gruppo, continua a curarne la regia e lo sviluppo: non si muove foglia che Re Enrico non voglia. A che punto siamo adesso, autunno del 2023? Una volta Buonocore ha detto: «Se un giorno potessi essere riconosciuto come l’unico ristoratore italiano che ha successo a Parigi, sarei l’uomo più felice del mondo». È accaduto: Langosteria ha aperto nella capitale francese nel 2021, in collaborazione con Cheval Blanc Paris.
Al settimo piano, affacciato sulla Senna, il ristorante di pesce «des italiens» è ora reputato tra i migliori di Parigi, città non tenera verso la cucina tricolore: la grandeur è dura a morire. Alla filiera si aggiungerà l’apertura di Londra, prevista nel corso 2024. Sarà tra le destinazioni di alta gamma di The Owo (ex Old War Office), nuovo epicentro lifestyle della capitale britannica, con hotel di lusso (Raffles London), centro benessere griffato Guerlain, nove ristoranti (tra cui un altro di conio milanese, Paper Moon, e tre con regia di Mauro Colagreco, tristellato Michelin al Mirazur di Mentone). Di The Owo, enorme edificio affittato per cent’anni dall’indiano Hinduja Group (acciaierie) che lo sta ridisegnando, si parlerà nel mondo: l’area apparteneva al ministero della Guerra, con migliaia di tecnici e militari al lavoro. Da qui partirono patriottici proclami di Churchill, Lawrence d’Arabia aveva un ufficio e nei sotterranei lavorò Ian Fleming, lo scrittore che ha creato 007: proprio in questi ambienti, tra spie e ufficiali di Sua Maestà Britannica, gli venne l’idea di James Bond, agente segreto con licenza di uccidere. Il lettore si sarà accorto che non abbiamo ancora menzionato gli chef. Non perché non siano bravissimi, anzi. Il motivo è che nel regno di Buonocore i riflettori non illuminano la vanità dei cuochi, come altrove succede, ma mettono in luce soltanto le ragioni del format, la sua replicabilità.
La cucina di Langosteria non sarà mai in preda ai capricci da star di alcuni professionisti di fuochi e padelle. Il «culinary ambassador» del Gruppo è Domenico Soranno, pugliese, in Langosteria dal 2009, perfetta mano professionale, umiltà tipica dei grandi, nessun grillo per la testa. È la persona con cui Buonocore si coordina per la scelta dei piatti, trionfo di pesci e crostacei, e dei professionisti da inserire nelle brigate. Ogni ristorante ha i propri executive chef, che all’occasione ruotano. A Milano in via Savona ci sono Domenico Magistri e Denis Pedron (Langosteria Cucina), al Bistrot Donato Di Giuseppe, al Cafè Jacopo Dedori, a Parigi c’è Michele Biassoni (supervisionerà pure la sede di Londra), a Sankt Moritz Antonio D’Ambrosio. Un celebre settimanale di enigmistica vanta innumerevoli tentativi di imitazione. Ebbene, vale pure per l’inimitabile Langosteria.
