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L’originale ha un’anima. La copia no

L’originale ha un’anima. La copia no

Dalla fontana del Nettuno, a Bologna, al monumento equestre del Gattamelata di Donatello, a Padova. Nel recupero e nella conservazione di questo patrimonio pubblico deve prevalere la valorizzazione – e l’esposizione – dell’opera autentica. La sua sostituzione con un «facsimile» è sbagliata, afferma il critico di Panorama.


Dopo 551 giorni di lavori di restauro e 150 specialisti all’opera, nel 2017 la fontana del Nettuno a Bologna è tornata ufficialmente in funzione. I lavori hanno riguardato l’intera struttura: dal consolidamento dei marmi alla pulizia dei bronzi, una vera impresa. Nel corso degli anni passati all’ombra di Palazzo Re Enzo il «Gigante» aveva accumulato residui di smog e calcare, impasto che ha favorito ossidazione e usura, tanto da togliergli la lucentezza. Gisella Capponi, direttrice dell’Istituto superiore per la conservazione e il restauro, ha sottolineato la complessità del lavoro sulle parti in pietra e sulle parti in bronzo del monumento: «La situazione da affrontare era davvero critica. La corrosione era dovuta anche alle abbondanti dosi di cloro usate per addolcire l’acqua».

Il Nettuno è il monumento che più di tutti rappresenta la «bolognesità», collocato tra Palazzo d’Accursio e Palazzo Re Enzo. Analogamente, ma con procedure anomale, anche Padova sente la necessità di restaurare il suo monumento simbolo. L’arcivescovo Fabio Dal Cin, delegato pontificio per la Basilica di Sant’Antonio, ha salutato, la mattina del 9 gennaio scorso, l’inizio dei lavori del comitato tecnico-scientifico per la valutazione dello stato di salute del monumento equestre al Gattamelata di Donatello e dei lavori successivi. I membri del comitato sono saliti sui ponteggi allestiti dalla delegazione, per una prima tappa del lungo lavoro di analisi dello stato di conservazione dell’opera. Sarà un lavoro di molti mesi, dedicato a stabilire che tipo di restauro mettere in atto a tutela dell’opera. Presidente del comitato è il soprintendente alle belle arti, Fabrizio Magani. Gli altri componenti dell’organo sono Francesco Caglioti, professore ordinario di Storia dell’arte medievale alla Normale di Pisa; Giovanna Valenzano, ordinaria di Storia dell’arte medievale all’Università di Padova, e Maria Donata Mazzoni, ex direttrice dell’Opificio delle pietre dure.

Un ringraziamento a tutti, in particolare al professor Ugo Soragni che ha accettato di assumere l’incarico di direttore dei lavori», ha detto l’arcivescovo Dal Cin a margine dell’incontro. Si tratta di un’opera di grande impegno, una delle opere fondamentali dell’arte occidentale. La stella polare che guida il comitato è garantirne la tutela per le prossime generazioni. Si potrà sapere ciò che succederà e conoscere le attività che verranno messe in atto per la conservazione dell’opera, soltanto dopo le dovute valutazioni accurate che verranno effettuate dagli esperti».

Diverse le soluzioni in campo, tra cui anche quella, suggerita da molti, dello spostamento e della sostituzione con una copia. Ecco, va bene tutto, ma a questo punto non ci ho visto più. E ho diramato un primo comunicato affettuoso: «Il restauro del Gattamelata è una questione di Stato, dello Stato italiano. Nessuna commissione che non sia nominata dallo Stato ha autorità sul restauro. L’intervento sul monumento equestre del Gattamelata dev’essere condotto attraverso la competente Sovrintendenza. La Commissione nominata dal delegato pontificio non può esprimere pareri in materia di restauro e di tutela, in quanto prerogative della Soprintendenza e del superiore ministero. Saranno gradite certamente eventuali osservazioni della commissione amatoriale, ma per il restauro di un’opera che è patrimonio dell’umanità è necessario l’intervento diretto e guidato dal Soprintendente che potrà avvalersi delle competenze dell’Icr o dell’Opificio delle Pietre dure. La Commissione, convocata in uno sgrammaticato invito, in cui è anche indicato un “direttore dei lavori” (quali?), non può sostituire in alcun modo gli istituti dello Stato che hanno competenza diretta ed esclusiva. Mi riserverò di fare assistere il Sovrintendente Fabrizio Magani da tecnici di nomina ministeriale che non intendano il restauro come scorciatoia per improponibili copie del grande monumento di Donatello».

Mi auguro che l’occasione sia stata tuttavia propizia per offrire ai membri della privata commissione una buona colazione a base di torresani di Torreglia e figassa. Ho poi pensato, con reverenza, alle posizioni del leggendario direttore dell’Istituto centrale del restauro, Giovanni Urbani, che a partire dal 1989 condusse un’aspra battaglia contro la posa in opera nella piazza del Campidoglio d’una copia del monumento equestre in bronzo dorato dedicato a Marco Aurelio, copia voluta invece da Giulio Carlo Argan. Mentre per parte sua Urbani affermava che la realizzazione di copie delle sculture all’aperto era azione di tutela sbagliata, sia sul piano conservativo, perché revoca in dubbio qualsiasi credibilità all’invece decisiva efficacia preventiva della manutenzione ordinaria e programmata, sia sul piano della storia, perché le copie legittimano la museificazione del patrimonio artistico all’aperto, togliendo alle città italiane il fascino di luoghi in cui ancora oggi si abita in verità di vita dentro al mondo storico; né dimenticando, sempre restando al piano storico, che il Marco Aurelio è stato originariamente pensato come punto focale della sistemazione michelangiolesca della piazza del Campidoglio.

Le argomentazioni di Urbani, sostenute pubblicamente dai soli Bernard Andreae, Giorgio Torraca e Corrado Augias, rimasero inascoltate. Oggi ricomincia la carica con l’intenzione di «musealizzare» il Gattamelata, violentandolo a stare al chiuso nonostante sia nato per stare all’aperto, come tutti i monumenti di bronzo. Alla perversione di questo obiettivo ho risposto con un altro comunicato: «Leggo gravi imprecisioni seguenti alla riunione della commissione amatoriale proposta dalla delegazione pontificia, per l’auspicato restauro del monumento equestre del Gattamelata. Le indagini scientifiche e le analisi dello stato di conservazione sono precipue prerogative della Soprintendenza, non di visitatori introdotti su un ponteggio non autorizzato da autorità ecclesiastiche subordinate alla legge dello Stato italiano, ma inspiegabilmente distratte.

Parimenti, per evidenti ragioni, il direttore dei lavori non può essere nominato dal delegato pontificio scegliendolo tra i dirigenti in quiescenza del ministero della Cultura, come l’ex sovrintendente architetto Ugo Soragni, della cui esperienza potrà eventualmente avvalersi il Soprintendente effettivo, naturaliter direttore dei lavori o chi da lui a questo compito delegato. Stupisce che queste elementari norme siano ignorate dal delegato pontificio che esonda dai suoi compiti di Custode della Basilica Antoniana. Per quello che riguarda il ministero sarà mio compito approntare, nei tempi dovuti per il restauro, l’intervento diretto dello Stato, senza commissioni sussidiarie, e prevedendo il restauro in situ. Ringrazio monsignor Fabio dal Cin per il suo desiderio di collaborare, ma nei termini di legge, non con commissioni che non hanno alcuna autorità se non per privati studi o ricerche. Ripeto che il restauro del monumento equestre del Gattamelata è una questione di Stato, dello Stato italiano. Tutto il resto è noia». Così sarà.

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