Quella volta che, in divisa da carabiniere, spiava le prove di Lucio Dalla. Il ruolo di Mia Martini all’inizio della sua carriera. Il rimpianto per il «ti voglio bene» mai detto al padre. Il cantante milanese, come un fiume in piena, rivela aneddoti e ricordi di una vita. «Ma il bello deve ancora venire» dice percorrendo il suo nuovo disco, L’inizio.
La prima volta che ho visto Lucio Dalla ho avuto paura a chiedergli l’autografo. Ero pure vestito da carabiniere: è successo al Teatro Lirico di Milano dove Lucio aveva in programma una ventina di concerti ravvicinati. Io ero in servizio nella caserma di via Moscova e tutti i pomeriggi mi presentavo lì per assistere al soundcheck. Essendo in divisa, nessuno osava dirmi di andarmene» racconta Biagio Antonacci. «A un certo punto Lucio scende dal palco nel mezzo delle prove e mi chiede “Scusi, ma perché lei si presenta qui tutti i giorni? Ho fatto qualcosa di male?”. No no, si figuri, io scrivo canzoni, ma ovviamente non saranno mai belle come le sue“. Beh allora mi faccia leggere i suoi testi, li faccia avere a Marco Nanni (il bassista degli Stadio; ndr)”. Glieli portai tutti siglati con un timbro che mi ero fatto fare dopo il diploma “Geometra Biagio Antonacci – Rozzano”. Puro kitsch, ma anche molta tenerezza» rivela il cantante a Panorama, srotolando il nastro dei ricordi di una carriera più che trentennale e di una vita che ha toccato quota 60. Un autore di successo, lontano anni luce dai circoli radical chic del cantautorato. «Non sono mai stato un cantautore schierato che dice cose fuori dalla musica. Per la stampa sono sempre stato più un uomo pop che un uomo pensante. Ma non c’è problema, la parte pensante la mostrerò più avanti quando andrò in pensione (ride di gusto, ndr)».
«Il mio nuovo album, L’inizio, racconta chi sono oggi. Ho capito che il passato è nostalgia, il futuro è ansia, e che solo il presente è reale. Essere diventato padre di Carlo (è il suo terzo figlio, ndr) a 58 anni è una straordinaria nuova occasione di ricominciare, di vivere il qui e ora. L’ansia è un cancello chiuso verso il futuro, il passato ti uccide con il senso di colpa trasformandoti in qualcuno che deve sempre pagare per qualcosa. Avrei potuto fare meglio di così? Sicuramente, ma il Biagio di vent’anni fa non era quello di oggi, quindi è inutile recriminare. A questo punto della vita non ho più voglia di avere rimpianti» spiega. «Uno dei più pesanti è non aver mai detto a mio padre “ti voglio bene”. Non avevamo un cattivo rapporto, anzi, ma non c’era quella confidenza senza timori reverenziali che vivo con i miei figli. Mio padre aveva una mentalità chiusa e anche un po’ ottusa. Ecco adesso che l’ho detto mi arriverà uno schiaffo da lassù… Ricordo bene un pomeriggio in ospedale: lo guardavo e mi chiedevo se gli avessi mai detto “ti voglio bene”. Alla fine, non ho pronunciato quelle parole temendo che capisse di essere arrivato davvero alla fine. La sera stessa se ne è andato e quel non detto mi è rimasto dentro».
Di gol professionali ne ha inanellati tanti Biagio Antonacci dalla fine degli anni Ottanta a oggi, quello mancato per un soffio è invece un gol vero sul rettangolo di gioco. Una questione di centimetri: «Pochi sanno che per un mese sono stato tesserato dalla Cavese in serie C2. Tutto è nato dall’amicizia con l’allenatore della squadra, Mario Somma, un mio fan. Mi propose di fare un concerto a Cava dei Tirreni per festeggiare la promozione in C1. Era un periodo in cui di spettacoli ne facevo anche troppi, così dissi per scherzo che sarebbe stato più divertente scendere in campo con loro. Senza dirmi nulla mi tesserarono e mi ritrovai ad allenarmi per un mese intero con la squadra. Nell’ultima partita del campionato entrai negli ultimi venti minuti rischiando pure di fare gol, ma purtroppo, la palla, dal piede è rotolata verso lo stinco, e ho tirato alto sopra la traversa. Non sono riuscito a dormire per settimane dopo quell’errore: ero a un passo dalla leggenda, il cantante che a trentanove anni debutta e segna. Ne avrebbe parlato anche la Cnn (ride ancora, ndr)». Oggi di Antonacci con una carriera di successo nel music business ce ne sono due: l’altro è il primogenito Paolo che come mamma ha Marianna, la figlia di Gianni Morandi. C’è la sua firma su alcune delle hit più cliccate degli ultimi anni: da Bellissima a Mille, passando per La dolce vita e Tango.
«Fin da piccolo scriveva, cantava e registrava tutto quanto. Lo faceva per conto suo senza manifestare troppo questa attitudine, per timore del mio giudizio. Ma quello era il lavoro che voleva fare nella vita e ce l’ha fatta con una sua personale visione della musica, conquistandosi un contratto come autore e staccandosi completamente dal mio mondo. Adesso, lui e Davide Simonetta (musicista, compositore e arrangiatore, ndr) macinano una hit dietro l’altra». Ieri come oggi sono le singole canzoni che fanno la differenza nella traiettoria artistica di un cantante. Nel suo caso, ce n’è una, Liberatemi, il pezzo della svolta, fatto ascoltare in anteprima a Mia Martini ben prima che arrivasse nei negozi. «Le era piaciuto molto Danza sul mio petto che avevo scritto per l’album Adagio Biagio. Così, un giorno alza il telefono e mi chiede di comporre una canzone per lei. “Quando l’hai finita, vengo ad ascoltarla a casa tua”. E io: “Ma signora Martini, io vivo a Rozzano in una casa piccola”. “Tranquillo, vengo io e in ogni caso chiamami come cavolo vuoi, ma non signora Martini”. Era incuriosita da questo cantautore geometra che al mattino si presentava in cantiere per lavorare. La scena è stata questa: io, la signora Martini, i miei genitori, mio fratello e al centro del tavolo una pasta preparata da mia mamma con l’amore e la dedizione che si manifesta solo per i matrimoni o i compleanni importanti. Dopo cena, le ho fatto sentire un pezzo, Il fiume dei profumi. Lo ha voluto per sé e mi ha chiesto pure di produrlo. Sempre in quell’occasione, ascoltando Liberatemi, non ha avuto dubbi: “Con questo pezzo smetterai di fare il geometra e ti dedicherai solo alla musica”» ricorda.
«Quando raccontai di quell’incontro a diverse persone dell’industria musicale, rimasi allibito. Mi sentii dire: “Ma come, il nuovo disco è la tua ultima possibilità di fare successo e scrivi una canzone per lei che come sanno tutti non porta fortuna. Reagii dicendo che a me di queste maldicenze non fregava nulla… Una cosa davvero brutta, nata oltretutto nell’ambito degli addetti ai lavori. A smentire ancora una volta questa meschinità, arrivò poi il grande successo di Liberatemi, la canzone che avevo scelto come singolo per l’album proprio grazie all’apprezzamento di Mimì».