Il passaggio strategico tra Europa e Asia potrebbe presto essere affiancato da un’imponente opera «gemella»: il nuovo Kanal Istanbul, subito soprannominato il «progetto folle». Voluto dal leader turco Recep Tayyp Erdogan per snellire il traffico navale (e ricavare un miliardo di dollari l’anno), è già contestato dagli scienziati e dal leader russo Vladimir Putin…
Le sirene dei vaporetti accompagnano il rumore delle onde che si frangono contro le scogliere e dal ponte di Galata si ammira l’imbocco del Bosforo nella sua maestosità, dove il primo ponte sospeso, oggi dedicato alle vittime del golpe fallito del 2016 e dall’illuminazione che cambia colore costantemente, sembra fare da corona. I turchi lo considerano la grande anima di Istanbul, dove ogni abitante si reca quando vuole ridere, gustare un tè, piangere o confessare i pensieri più tristi nella speranza che la corrente se li porti via, verso il Mar Nero. Lungo le sue sponde si sono consumate battaglie fra le più importanti della storia e tuttora si può ammirare Rumeli Hisari, il castello fatto costruire da Maometto II il Conquistatore.
Sulle sue acque navigano petroliere, navi commerciali, navi da crociera, vaporetti e navi private che, nella bella stagione, si trasformano in vere feste galleggianti, con luci e musiche a così alto volume da finire per allietare (o molestare) anche chi rimane sulla costa. I numeri sono eloquenti. Il Bosforo è attraversato da circa 50 mila imbarcazioni all’anno e lo stretto rappresenta un passaggio obbligato per accedere al Mar Nero.
Un vero nodo cruciale della megalopoli da 20 milioni di abitanti, che divide Europa e Asia e presto potrebbe trovarsi ad avere un gemello. Il suo nome ufficiale Kanal Istanbul, ma in Turchia lo chiamano tutti Çılgın Proje, il «progetto folle». In pratica, si tratta della costruzione di un secondo Bosforo nella parte europea della Turchia. Un canale artificiale lungo 45 chilometri, largo 150 metri e profondo 25. Un piano colossale, che in breve tempo ha attirato le preoccupazioni non solo degli ambientalisti, ma anche di molti leader politici.
Il Kanal Istanbul è un sogno che il presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan, accarezza almeno dal 2013. Non è ancora riuscito a realizzarlo perché ha prima dovuto dare la precedenza alla costruzione del terzo ponte e del terzo aeroporto di Istanbul. Sul piano politico, i disordini politici legati al golpe, le varie tornate elettorali che hanno avuto luogo nel Paese hanno rallentato tutto. A questo poi va aggiunto che la costruzione del canale costerebbe qualcosa come 20 miliardi di dollari e il presidente deve ancora capire dove trovarli. Per il momento, questo sembra l’unico ostacolo che lo preoccupa, anche se nelle ultime settimane si sono fatti avanti investitori provenienti dagli Emirati Arabi che potrebbero coprire una parte delle spese. La volontà di Erdogan è chiara. A dicembre il capo di Stato ha dichiarato che entro il 2020 il cantiere del Kanal Istanbul sarà finalmente inaugurato.
La motivazione ufficiale di un’opera così colossale è alleggerire il traffico di navi sul Bosforo e diminuire i tempi di attesa per attaversare le sue acque. Chi conosce Istanbul sa bene che sul Mar di Marmara decine di imbarcazioni, soprattutto grandi petroliere, sevono attendere anche 14 ore pur di transitare dallo stretto, il cui passaggio è gratuito. Il Kanal Istanbul avrebbe quindi la funzione di tutelare le sponde storiche del Bosforo e fluidificare il flusso marittimo. Purtroppo, come in ogni iniziativa di Erdogan, oltre a una motivazione ufficiale, ce n’è una ufficiosa, spesso inquietante. Nel caso del canale artificiale, con la sua costruzione spera di aggirare la Convenzione di Montreux, che non solo prevede la gratuità del passaggio dagli stretti turchi, quindi Bosforo e Dardanelli, ma tiene conto anche di alcune restrizioni riguardanti soprattutto le navi da guerra di Paesi che non affacciano sul Mar Nero. Gli esperti del presidente hanno calcolato che dal passaggio del canale si potrebbe ricavare fino a un miliardo di dollari all’anno.
Una «pura follia» secondo Cengiz Aktar, politologo turco e attualmente docente di Relazioni internazionali all’Università di Atene. «Di tutti i progetti del presidente» spiega a Panorama «questo è il più folle e pericoloso non solo per la Turchia, ma per tutti gli Stati limitrofi. E rischia anche di essere inutile. Il primo problema, infatti, è quello della reale fattibilità. Secondo i calcoli effettuati dagli addetti ai lavori, la profondità del canale non basterà a consentire il passaggio delle grandi navi commerciali e militari. In più, non c’è alcun modo di eludere la Convenzione di Montreux, perché gli altri Paesi lo dovrebbero comunque approvare. Si tratta dell’ennesimo tentativo di Erdogan si raccogliere consenso con progetti faraonici e attirare capitali stranieri, che però non serviranno a fare riprendere l’economia che continua ad arrancare».
Un cantiere inutile, quindi, ma soprattutto molto pericoloso per l’ambiente. Secondo Cemal Saydam, oceanografo dell’Università Hacettepe di Ankara, se il progetto verrà portato a termine si rischia un capovolgimento degli equilibri fra le correnti di acqua fredda e acqua calda. Non solo. Il Mar Nero è più «alto» rispetto al Mar di Marmara di circa 30 centimetri. Il Bosforo, quello originale, ha correnti bidirezionali. Il suo «gemello» ne avrà solo una dal Mar Nero. «Sarà l’inizio di un autentico disastro» sostiene Sayman. «Il Mar Nero si svuoterà più in fretta, mentre la portata dei fiumi che lo alimentano rimarrà la stessa. Questo comporterà una lenta ma progressiva scomparsa del bacino e anche un cambio della temperatura e della salinità del Mar di Marmara e del Mediterraneo, con conseguenze catastrofiche su clima, fauna e flora marina. Anche il Bosforo originale vedrà abbassato il proprio livello con tutte le difficoltà connesse per la navigazione delle imbarcazioni». Dallo scenario infausto non si salva nemmeno la città di Istanbul che secondo alcuni geologi potrebbe risentire in modo pesante della costruzione del canale per quanto riguarda la stabilità del terreno su cui sorge.
Il presidente però è intenzionato ad andare avanti, costi quel che costi. Ma in questo momento, oltre alle leggi internazionali, gli è avverso anche Ekrem Imamoglu, il sindaco di Istanbul, che fa parte dell’opposizione e secondo molti è l’unico nel Paese in grado di poter tenere testa al «sultano» Erdogan. Il primo cittadino della megalopoli sul Bosforo ha già avuto più di uno scontro a distanza con il presidente ed è pronto addirittura a indire un referendum in città per evitare l’avvio dei lavori. Tuttavia non è il solo a preoccuparsi.
Chi di recente ha criticato il Kanal Istanbul, prendendosi pure la libertà di discuterne di persona con Erdogan, è stato Vladimir Putin. Il capo del Cremlino sa che i maggiori affluenti del Mar Nero sono, oltre al Danubio e al Dniester, il Volga, il Don e il Dnieper, tutti fiumi fondamentali per il territorio russo. E lo «zar» ha un’altra preoccupazione: le navi da guerra che la Turchia potrebbe decidere di fare transitare dal canale artificiale. «Putin» conclude Aktar «ha capito perfettamente quali sarebbero le conseguenze e sta facendo pressioni su Ankara perché Erdogan rinunci al progetto. È sorprendente che, in tutto ciò, l’Unione europea non abbia ancora preso posizione. Il cantiere avrebbe conseguenze dirette su Grecia, Romania e Bulgaria».
La megalomania dell’ingombrante ma prezioso vicino (argine a singhiozzo, come sa bene Angela Merkel, all’ondata di profughi dalla Siria), non sembra per ora turbare i sonni dei leader continentali.
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