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Ora pure il pappagallo è smart

Ora pure il pappagallo è smart

Si chiama inferenza statistica: è la capacità di decidere sulla base di ciò che si ritiene più probabile. Finora si credeva che lo facessero solo umani e scimpanzé. Adesso uno studio rivela che anche questi volatili sanno ragionare in modo altrettanto sofisticato. Insomma, non siamo sempre i primi della classe…


Già il matematico Pierre Simon Laplace, a inizio Ottocento, diceva che la probabilità non è altro che buon senso. Se su dieci recensioni un ristorante ne ha otto negative, scelgo di andare in un altro che di critiche ne ha meno. Gli scienziati cognitivi la chiamano «inferenza statistica»: un modo di ragionare che, come anni di ricerche hanno mostrato, è non solo una prerogativa degli esseri umani ma anche degli scimpanzé, i primati evolutivamente più vicini a noi.

Quello che nessuno si aspettava è che anche i pappagalli fossero capaci di fare altrettanto. Unici nel mondo animale, a quanto si sa, esclusi noi e i nostri parenti più stretti, questi uccelli possono decidere sulla base di ciò che ritengono più probabile. Un punto a loro favore non da poco, soprattutto a paragone di altri animali dalla grande reputazione in fatto di intelligenza, dai delfini agli elefanti. A questa conclusione sono giunti due ricercatori dell’Università di Auckland, in Nuova Zelanda, grazie ad alcuni interessanti esperimenti descritti su Nature Communications. Nel primo di questi venivano presentati a sei pappagalli della specie Nestor notabilis, i cosiddetti Kea, due recipienti trasparenti: in uno c’erano 100 oggetti arancioni e 20 neri, nell’altro 100 oggetti neri e 20 arancioni (frequenza invertita). Gli oggetti scuri erano graditi ai pappagalli, quelli arancioni no. Un ricercatore estraeva con ciascuna mano da ognuno dei due contenitori un oggetto e con il pugno chiuso faceva scegliere a ciascun pappagallo. La decisione avveniva sulla base di ciò che avevano visto attraverso il vetro del recipiente: i pappagalli optavano per il pugno che aveva più probabilità di contenere un oggetto nero. Alcuni esperimenti di controllo facevano concludere che i pappagalli non si basavano su meccanismi più semplici dell’inferenza statistica (come scegliere il contenitore con le cose preferite ed evitare quello con più oggetti sgraditi), e nemmeno imparavano durante l’esperimento.

Un secondo test mostrava che se dentro i recipienti vi era una barriera posta a metà, per cui era meno probabile estrarre un oggetto nero, i pappagalli ne tenevano conto nelle loro scelte, optando per l’altro contenitore. Un terzo esperimento infine concludeva che se i ricercatori, durante l’estrazione, non eseguivano bene il loro compito, per esempio presentavano un pugno vuoto, i pappagalli prendevano decisioni conseguenti. In altre parole, se un umano barava, sceglievano l’altro vaso.

Secondo Elsa Addessi, ricercatrice all’Istituto di Scienze e tecnologie della cognizione del Cnr, «questo studio è molto importante perché è la prima evidenza del fatto che non solo gli umani e gli scimpanzé, ma anche i pappagalli hanno la capacità di combinare informazioni di differenti tipi: da quelle della sfera fisica, la barriera dentro il contenitore, a quelle della sfera sociale, il comportamento dei ricercatori». L’intelligenza dei pappagalli della specie Kea, pertanto, non sembra essere «dominio-specifica», cioè non dipende da aree cognitive isolabili e specializzate per risolvere specifici problemi. Al contrario, sembra sia piuttosto duttile, capace di risolvere i problemi che di volta in volta emergono, così come osservato negli umani e nelle scimmie antropomorfe. Un altro aspetto importante è il fatto che, siccome l’antenato comune a umani e uccelli si può far risalire a oltre 300 milioni di anni fa, la capacità di inferenza statistica è emersa più di una volta nella storia evolutiva, e in contesti diversi.

Questa notevole capacità cognitiva dei pappagalli si aggiunge a numerose altre scoperte. «Uno studio dei miei colleghi dell’Istc-Cnr, Paola Carducci e Valentina Truppa, insieme a ricercatori dell’Università di Vienna, ha comparato le capacità cognitive dei pappagalli kea con un primate chiamato cebo dei cornetti. Emergeva che le due specie avevano abilità mentali paragonabili riguardo alle decisioni prese sulla base di stimoli tattili combinati con stimoli visivi» aggiunge Addessi.

L’abilità linguistica dei pappagalli, che tutti conoscono, è sicuramente il risultato di un talento imitativo senza uguali. Quel che non è mai stato chiarito è se sia il frutto dell’apprendimento o un’abilità spontanea. Studi recenti poi hanno mostrato che i pappagalli cenerini possono contare fino a sei, distinguere differenti colori, capire che cosa significa quando un oggetto è più grande di un altro. Altri esperimenti rivelano che i cacatuidi, dal nome malese di un’altra famiglia di pappagalli, possiedono il concetto della «permanenza di un oggetto»: l’idea che, anche se nascosti alla vista, continuano la loro esistenza. E se un oggetto viene prima messo in un luogo che non possono vedere e poi spostato di nascosto, i cacatuidi vanno a cercarlo nella nuova posizione. Non solo. Chi pensava che danzare fosse un’espressione della cultura umana deve ricredersi perché i cacatuidi sono capaci di ballare con un incredibile repertorio di movimenti, e di inventarne di nuovi in risposta alla musica. È la conferma che noi stessi siamo naturalmente predisposti per la danza.

Infine, l’ultimo punto a favore di questi animali: mentre i corvi, altri animali superintelligenti, non aiutano i loro compagni a completare certi compiti, i pappagalli lo fanno come mostra una ricerca su Current Biology del Max Planck Institute for ornithology. Intelligenti, ma anche altruisti, quindi.

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