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Mattarella deve parlare sui giudici nel caos

Mattarella deve parlare sui giudici nel caos

L’editoriale di oggi de «La Verità»

Il
Corriere pontifica: al Quirinale non è consentito sanzionare i magistrati. Lo sappiamo bene: noi, infatti, gli chiediamo soltanto di esprimersi, come fa quasi ogni giorno su altre questioni. Prima che queste fiamme consumino la residua credibilità delle istituzioni.

Notizia in prima pagina sul
Corriere della Sera di ieri: «Bonafede: un terremoto, ora il Csm va riformato». Immagino che i lettori, attoniti, si siano chiesti di quale movimento tellurico si stesse parlando, visto che fino all’altro ieri i sismografi del quotidiano di via Solferino non avevano registrato alcuna scossa. Forse a Roma c’è stata un’onda sismica che ha minacciato la stabilità di Palazzo dei Marescialli, si devono essere chiesti? Per saperne qualche cosa di più bisognava voltare pagina, digerirsi tutta l’informazione minuto per minuto sul coronavirus, il ricordo di Alberto Alesina, l’economista morto negli Stati Uniti a causa di un infarto, la storia di Kumari che in India ha fatto 1.200 chilometri per aiutare il padre infermo e poi, arrivati a pagina 28, ecco chiarito il mistero del sisma che ha scosso il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. Si parla del caso Palamara, ovvero delle intercettazioni telefoniche su cui da giorni informiamo i nostri lettori. Per spingere il giornale di Urbano Cairo ad approfondire la faccenda c’è voluto non l’intervento in aula di Matteo Salvini e neppure la telefonata che il segretario della Lega ha fatto a Sergio Mattarella. No, a indurre la storica testata a rilevare il terremoto di cui parla il Guardasigilli sono state le dimissioni del presidente e del segretario dell’Anm. I vertici e la giunta hanno dovuto rassegnarsi al grande passo dopo che le correnti della magistratura si sono ritirate, uscendo dall’accordo sul quale si reggeva il sindacato delle toghe. Naturalmente giudichiamo un successo che anche il principale quotidiano abbia deciso di aprire gli occhi sullo scandalo che sta scuotendo tribunali e Procure, costringendo addirittura i rappresentanti dei giudici a gettare la spugna. Meglio tardi che mai. Tuttavia, ieri c’era un altro motivo per leggere le pagine prodotte in via Solferino ed era un colonnino dal titolo «Il Quirinale non ha il potere di infliggere sanzioni». In poche righe l’esperto di cose del Colle spiegava che «per quanto squallido e mortificante» ciò che è emerso dai colloqui registrati fra le toghe è privo di rilievi penali. Inoltre, precisava il cronista, il capo dello Stato non ha il potere di sciogliere il Consiglio superiore della magistratura perché, pur presiedendo il parlamentino dei giudici, non può liquidarlo a meno che, a causa delle dimissioni in massa dei suoi esponenti, non sia più in grado di funzionare.

Il senso di quello che il collega del
Corriere presenta come un retroscena è chiaro: Sergio Mattarella è disgustato quanto voi da ciò che sta emergendo dalle intercettazioni (e che, ma questo lo aggiungiamo noi, se non fosse stato pubblicato dalla Verità nessuno avrebbe mai nemmeno conosciuto), tuttavia ha le mani legate, perché al momento non risultano reati e il Csm, a differenza del Parlamento, non può essere sciolto. «Quando gli si domanda di “sanzionare” i magistrati più esposti nello scandalo», scrive il quirinalista, «si trascura che nei confronti di alcuni di loro sono già in corso procedimenti giudiziari e disciplinari, su cui il capo dello Stato non può mettersi in mezzo non essendo titolare dell’azione disciplinare». Chiaro il messaggio? Il presidente legge e ascolta, ma non può fare niente.

Ora, si dà il caso che tra i primi a chiedere l’intervento di
Mattarella sia stato questo giornale, con un editoriale in cui si ricordava che un altro presidente della Repubblica, cioè Francesco Cossiga, ebbe il coraggio di schierarsi contro il Consiglio superiore della magistratura, minacciando addirittura di mandare i carabinieri. Il Pompiere della Sera si incarica di farci sapere a stretto giro di posta che il Colle non può licenziare il parlamentino dei giudici, perché le sanzioni ai magistrati e a chi li rappresenta non sono compito suo. Non c’era bisogno che l’ufficio stampa del capo dello Stato si scomodasse per informarci di ciò: sappiamo bene che il Quirinale non può punire una toga e nemmeno cacciarla. Ma non è questo che ci aspettavamo. Non è un decreto presidenziale ciò che abbiamo sollecitato, ma un intervento del presidente. Basterebbe che Mattarella aprisse bocca, come fa quasi quotidianamente per esprimere il suo parere su molte questioni, e la faccenda del Csm sarebbe risolta.

Già, perché anche senza un licenziamento ordinato da chi «esercita l’azione penale» e pure senza un potere di scioglimento, un intervento del Colle sarebbe sufficiente a indurre i rappresentanti del Csm alle dimissioni di massa e dunque a una nuova rappresentanza dell’organo costituzionale. È evidente che quello attuale è inquinato da faide, pressioni, scontri e – dopo le rivelazioni della
Verità sulle parole di Luca Palamara – anche da condizionamenti politici. Dunque, nonostante la volontà del Pompiere della Sera di spegnere l’incendio, serve una parola definitiva del capo dello Stato. Prima che le fiamme mandino in fumo ciò che resta della credibilità della magistratura. E anche ciò che rimane delle istituzioni.

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