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Il processo show di Ghislaine Maxwell

Il processo show di Ghislaine Maxwell

Con il suicidio in carcere del magnate pedofilo Jeffrey Epstein, la Maxwell resta l’unica imputata e per questo verrà condannata, anche se le testimonianze contro di lei sono contraddittorie e le donne che l’accusano sono tutt’altro che disinteressate. Ma l’opinione pubblica e la giustizia vogliono un capro espiatorio.


E’ nata il giorno di Natale del 1961, Ghislaine Maxwell. Un’ironia per la donna presentata al mondo come diabolica manipolatrice, spregevole procacciatrice di giovani minorenni da avviare alla prostituzione d’alto bordo. Il suo nome e la sua storia sono per sempre legati a Jeffrey Epstein, il finanziere pedofilo accusato di una lunga serie di reati tra il 1994 e il 2004 (tutti connesssi al traffico e alla violenza su minori), che è deceduto in cella nell’agosto 2019, in uno strano suicidio, prima che iniziasse il suo processo.

«La sua morte è la conseguenza di una serie di errori del nostro sistema» commentò l’allora Procuratore generale degli Stati Uniti William Barr, avallando indirettamente l’opinione di alcuni analisti politici per cui le autorità americane avrebbero deciso di processare la Maxwell anche per riscattarsi dalle leggerezze commesse con Epstein. Quale occasione migliore della denuncia presentata in seguito contro Ghislaine da quattro donne che furono le vittime del suo compagno e dei suoi facoltosi e mai denunciati amici?

Ora su di lei pendono le stesse accuse. «Vivo in condizioni inumane, in isolamento, dormo con una luce sempre accesa che mi ha rovinato gli occhi, la cella è infestata da scarafaggi e sono stata aggredita dalle guardie» ha lamentato l’imputata nell’unica intervista rilasciata prima di quello che è stato definito «il processo del secolo» per l’eco mediatica e i possibili risvolti politici. Nell’aula del tribunale di New York dove si svolge il dibattimento è però apparsa tranquilla, quasi rilassata.

Durante le testimonianze non si è mai scomposta anzi, si è spesso consultata in modo quasi amichevole con i suoi avvocati. I disegni delle udienze la ritraggono col volto semicoperto dalla mascherina anti-Covid e lo sguardo impenetrabile. Nessuno sa e tutti si chiedono cosa si nasconda dietro quegli occhi neri, ma lei per prima ha un’unica certezza: Ghislaine Maxwell non ha amici, né tantomeno amiche. A inchiodarla alla sbarra sono state un’ex tossicodipendente, un’attrice, altre due donne con famiglie disfunzionali alle spalle; testimoni che a malapena l’avevano nominata, quando ancora potevano prendersela con il suo presunto complice Epstein, e ora la definiscono come una «da rinchiudere per sempre», davanti alla quale ci si sente «pietrificate pensando alle proprie figlie». I reati che le imputano sembrano più infamanti, se possibile, di quelli che il suo ex fidanzato ha evitato di affrontare. Nessuna solidarietà femminile.

La pubblica accusa intende provare che fu Ghislaine – ex amante e insostituibile collaboratrice – a procurare le prede allo stupratore seriale e ai suoi conoscenti altolocati tra cui figurano personaggi come Donald Trump, il principe Andrea, Bill Clinton e Bill Gates. Sarebbe lei l’anello forte della catena di abusi sessuali, il mostro che avrebbe procacciato le vittime più fragili per strada, preparandole per il compagno con vischiosa gentilezza, promettendo vite migliori per poi lasciarle in balia di un gioco di sesso, perversione e violenza che a volte includeva pure lei.

Maxwell si è sempre dichiarata «non colpevole», la sua agguerrita squadra di difensori punta a dimostrare che lei è il capro espiatorio in questo enorme scandalo dove è rimasta l’unica a pagare. Sostengono che il processo sia costruito su «falsi ricordi, manipolazione e denaro» e l’unico obiettivo delle accusatrici sia spillare ancora un risarcimento dall’inesauribile fondo per le vittime di Epstein dal quale hanno già abbondantemente attinto. Una di loro ha già ricevuto dal patrimonio del magnate 2 milioni e 800 mila dollari.

Si tratta comunque di una mossa rischiosa nell’era del politicamente corretto e del #MeToo, il movimento di rivolta che vuole tutte le donne strette in un idilliaco abbraccio e il pugno chiuso a denunciare gli abusi subiti venti, trent’anni prima. Nessuno è disposto a perdonare a questa 59nne britannica ricca e famosa, con tripla cittadinanza, i presunti soprusi inflitti a delle sue sorelle, che invece dalla vita avevano avuto poco o nulla. Ancor più vittime dunque, perché tossiche, schizofreniche, già abusate dai familiari.

Ma era poi così fortunata Ghislaine Maxwell? O, in fondo, è stata anche lei una vittima prima inconsapevole, poi predestinata, senza diritto alla difesa? Ultima dei nove figli del controverso editore Robert Maxwell, Ghislaine era la beniamina del padre – che diede il suo nome allo yacht dal quale apparentemente cadde, trovando la morte in circostanze mai del tutto chiarite e lasciando la famiglia in un mare di debiti – ma subiva le regolari prepotenze di un uomo violento verso tutti i suoi eredi. Raccontano i biografi che la picchiasse regolarmente da bambina se non andava bene a scuola e la umiliasse in pubblico.

Tra le poche a confermarlo c’è Anne Robinson, nota star della televisione inglese che ha lavorato per anni per Bob e cui l’editore aveva chiesto, a un certo punto, di occuparsi proprio della figlia. Robinson rifiutò: «Aveva vissuto un’infanzia orribile, non aveva obiettivi. Penso che alla fine passasse da un uomo forte all’altro» ha raccontato la presentatrice. «Era diventata un’instancabile costruttrice di contatti a New York, quindi non sono sorpresa che finisse con uomini molto ricchi. E non giustifico nulla, ma niente di quello che le è successo nella sua giovinezza era normale. Erano tutti un po’ guasti, i figli di Maxwell». Forse per questo sono gli unici a essere rimasti vicini alla «piccola» di casa. Uniti dallo stesso passato oscuro, le tre sorelle e i tre fratelli ancora viventi della grande famiglia hanno raccolto i 28 milioni e mezzo di dollari per garantirle la libertà su cauzione (poi mai concessa) dopo il suo rocambolesco arresto nel 2020.

Sono stati gli unici a dichiarare pubblicamente di credere alla sua innocenza. «Mia sorella è vittima di una campagna d’odio perché è una donna e in quanto tale viene trattata peggio di qualsiasi altro molestatore sessuale maschio già condannato, come Harvey Weinstein e Bill Cosby» ha detto il fratello Ian, convinto che Epstein l’abbia soltanto usata per aver accesso ai suoi contatti importanti.

Parere che collima con quello di Vicky Ward, giornalista investigativa e autrice del libro Chasing Ghislaine. «Per sua sfortuna era pazzamente innamorata di Epstein, mentre lui non lo era» ha raccontato. Probabilmente non lo è mai stato nemmeno l’unico marito di Maxwell, il miliardario Scott Borgerson, di 14 anni più giovane, che Ghislaine ha sposato in segreto nel 2016 «per non danneggiare i due figli di lui».

Da quando è stata arrestata, intanto, Borgerson si è fatto vedere spesso in compagnia di una giovane insegnante di yoga. Del resto a mettere la maggior distanza possibile da Ghislaine aspira anche il principe Andrea, che tramite lei divenne poi amico di Epstein, frequentò le sue lussuose dimore e invitò la coppia a trascorrere un weekend nella residenza scozzese preferita della Regina, Balmoral.

Attualmente Virginia Roberts, la prima vittima del multimiliardario, ha avviato una causa di risarcimento civile contro il Duca di York (che nega ogni addebito). Ma per Andrea rimane prioritario cancellare anche la sua amicizia con Ghislaine, demonio fatto donna. Lei però, colpo di scena, potrebbe persino cavarsela con una sentenza di comodo. In questo processo, dove nulla sembra essere come appare, negli ultimi giorni l’aria è cambiata. La Procura ha commesso diversi errori, alcuni testimoni non si sono presentati e le quattro principali accusatrici si sono contraddette qualche volta di troppo.

Il dibattimento, che doveva durare mesi, è stato sospeso (ufficialmente perché un avvocato è malato) ma dovrebbe concludersi già ai primi giorni di gennaio. E la giuria sembra aver troppa fretta di infliggere una condanna esemplare all’unica colpevole, fra i tanti, rimasta disponibile. Capro espiatorio? Alla fine certo, qualcuno dovrà pagare. Come e quanto, è ancora da vedere.

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