Iperconnessi ma sempre più soli. Arrabbiati per il tempo rubato. O, peggio, apatici e depressi. Per i più giovani la pandemia è diventata una ferita esistenziale. Che solo il ritorno alla normalità potrà sanare.
Per loro questo è il tempo perduto. La «Generazione lockdown» all’apparenza ha retto la botta della quarantena meglio di quanto ci si aspettasse, ma dentro si sentono spezzati. «Sono arrabbiato e rassegnato. Il virus mi ha strappato una parte della mia adolescenza che non tornerà», racconta un diciasettenne. «Sento le mura della casa diventare ogni giorno più spesse. Sono sempre più solo. Il rumore della vita mi sembra sottile, lontano».
Gli amori, le uscite, i baci, la notte, la libertà. Tutto svanito. «La vita sta diventando oscura» dice Adele, 17 anni. Eppure a guardarli così disciplinati, chiusi nelle loro stanze, apparentemente tranquilli, i nostri figli sembrano più maturi dei genitori. Vicini, ma distanti. Padri e madri che dopo questa convivenza non conoscono ancora il dolore che abita il cuore dei figli. «Molti di noi non hanno niente da dire in famiglia. Non c’è mai stato dialogo, impossibile crearlo ora» confessa un sedicenne. Giacomo, sette anni, passato il primo mese, ha detto a mamma e papà di preferire il dialogo con Alexa, l’assistente vocale di Amazon. Ne ha volute un paio: genitore uno, genitore due.
Racconta Alessandra, 13 anni: «È come se fossi in una bolla. Sento crescere l’ansia, la paura, il dolore. Il pensiero che niente sarà come prima mi spaventa. Rivoglio la mia vita». Ha trascorso la quarantena a Milano con la madre: «Da quando mi sveglio, fino a notte inoltrata, sto in “chiamata” con i miei amici. Anche durante le lezioni, tanto a nessuno importa nulla, non siamo più motivati. Non puoi istruirti così. Non riesci a concentrarti, tutti cercano le risposte su internet, copiano, inventano che la connessione non funziona. Non l’avrei mai detto, ma mi manca tantissimo la scuola».
Elena, milanese, 14 anni, dice che è riuscita a non soffrire troppo perché ha «una vita social pazzesca». La sua giornata: «Ho scaricato Houseparty e sono sempre connessa. Passo dieci ore al telefono. I miei genitori si arrabbiano, ma cosa dobbiamo fare? Avevo un fidanzato e ci siamo lasciati all’inizio della quarantena. È riuscito a farmi le corna anche in questa situazione. Usciva, non rispettava le regole. Molti di noi pensano che si risolverà tutto prima dell’estate. Io credo ci vorrà un anno. Ormai mi sono arresa, non mi lamento più. La scuola a distanza è faticosa. Mi addormento tardissimo e leggo Il giovane Holden».
Anche il rapporto con i social è cambiato, molti hanno abbandonato Instagram: «Che senso ha truccarsi, farsi la piastra, vestirsi per scattare due foto in salotto? Sembri solo una cretina» dice un’adolescente. Vittorio Patrizi, studente di filosofia, riflette: «I social ci aiutano a sostituire questo vuoto incolmabile, ma hanno un difetto essenziale. Rendono continua la condivisione di contenuti e questa continuità non esiste nella vita reale. Vediamo gli amici per un caffè, una partita di calcetto, una birra, ma poi si torna a casa. Appagati, e questo ci basta. Ora invece non è mai abbastanza. Siamo sempre connessi, pronti a condividere storie e momenti di questa quarantena senza però sentirci soddisfatti. Continuamente on-line, disponibili a parlare e fare videochiamate di ore per il bisogno di socialità, ma è proprio così che si mostra il limite della tecnologia. Non riesce a riflettere la realtà, a sostituirla davvero. Ci manca il mondo, tutto quello che ora si è fermato. Ora la normalità è la sola cosa che ci attira, che ci fa sperare».
A nessuno importa che le discoteche resteranno chiuse: «Ci organizzeremo in casa», dicono. Ma come spiega Sofia, 15 anni, allieva del liceo classico Parini: «Desidero solo un caffè con le amiche. Molte di loro mi mandano video dove piangono e dicono che vogliono uscire. Sentiamo il bisogno della quotidianità, del contatto fisico, non delle discoteche».
Stanno svegli di notte, dormono di giorno. Non sono disperati, ma neanche felici. Si annoiano. Sanno che niente tornerà come prima. «All’inizio non mi dispiaceva la quarantena, ora mi è passata la voglia di qualsiasi cosa» racconta Ginevra, 18 anni, romana. «Sono in ansia, mi sento stanca. Mi aggrappo ai ricordi, posto le foto della scorsa estate. Questo 2020 per me non conta. Eppure doveva essere il nostro anno, quello della maturità. Invece passiamo le giornate a studiare da soli, davanti a uno schermo e la sera ho male agli occhi e alla testa. Con questo esame non avrò voti abbastanza alti per accedere alle università inglesi, dove avevo fatto l’iscrizione. Era il mio sogno».
Il sogno di altri è, molto più banalmente, farsi uno spinello. Tentano di uscire con scuse improbabili per cercare il fumo o l’erba. Perlopiù non trovano niente. E allora scatta la rabbia, come spiega Federica Rossi Gasparrini, presidente di Federcasalinghe: «Attraverso i nostri molteplici canali abbiamo raccolto la preoccupazione di molte madri che hanno scoperto la dipendenza dei figli dalla droga leggera. Hanno comportamenti che all’inizio non riuscivano a capire: non mangiano, si rabbuiano, sono instabili. Spesso inaspettatamente violenti. Contro se stessi o i familiari. Hanno 13, 14 anni e il 30 per cento sono ragazzine».
Fanno fatica a controllare l’ansia. Il dolore va molto oltre i locali notturni chiusi, i diciottesimi saltati, le vacanze all’estero, i camp estivi già disdetti, l’Interrail che non si farà, così come il mitico viaggio della maturità in Grecia. Ma ciò che pesa maggiormente è proprio l’esame. «Siamo allo sbaraglio, non sappiamo cosa succederà» dice Guglielmo, 19 anni, di Nizza Monferrato, che deve sostenere la maturità scientifica. «Vorremmo fare l’orale di persona, non online, come invece sembra che sarà. L’esame ormai è stravolto e noi saremo svantaggiati. Questa maturità è solo un grande dolore».
Matteo Saudino è il professore di filosofia più amato dagli studenti italiani. Il suo canale YouTube «BarbaSophia» conta oltre 90 mila iscritti e l’ultimo libro La filosofia non è una barba (Vallardi) è da mesi in classifica. «Avremo una generazione che non vivrà l’esame di Stato. Saranno i primi che non faranno il tema, non sceglieranno le tracce, non conosceranno la notte prima degli esami. Quella dove ti domandi se uscirà Pascoli o forse Calvino. Non sentiranno l’adrenalina, non faranno la pizzata con i professori, né avranno il loro momento goliardico. In tutto questo c’è molta malinconia». Vent’anni nella scuola pubblica, oggi insegna al liceo Giordano Bruno di Torino: «I miei allievi sono disorientati, non sanno a cosa andranno incontro. Hanno paura che il loro percorso non venga premiato. E sono preoccupati per i test di ammissione all’università, si chiedono se a settembre si faranno. Non vedono l’ora che tutto questo finisca. È una generazione curiosa, che ha voglia di cambiamento. Che ama il nichilismo di Nietzsche e il pessimismo di Schopenhauer. La mia paura è che questa quarantena con una totale immersione tecnologica li porterà a un maggior solipsismo, all’esisto solo io».
Anche la giovane scrittrice Marzia Sicignano, con il nuovo romanzo Ovunque sia, saremo insieme (Mondadori) in uscita a maggio, ha paura che: «Dopo essere stato a lungo solo con te stesso, potresti trovarti a desiderare di chiuderti ancora di più. La quarantena amplifica ogni cosa: se hai l’ansia o la depressione tutto si ingigantisce. Mi sento paranoica, penso ossessivamente. Rivedi il passato, ti interroghi sul futuro, ma vivere questo presente è ogni giorno più difficile. Come sarà quando torneremo a incontrarci? Non credo saremo migliori, né che il mondo cambierà. A volte mi manca il respiro».
La reazione depressiva è la più pericolosa sostiene Elide Bono, psicoterapeuta dell’età evolutiva. «È la meno capita dagli adulti. I ragazzi si chiudono, diventano apatici. Va assolutamente contrastata. I genitori devono riorganizzare il tempo, dare un senso al quotidiano, imporre regole. E quando tutto questo sarà finito i giovani avranno bisogno di condivisione, sostegno, empatia. Da soli non ce la possono fare».
Narcisisti, schivi, fragili e spavaldi, iperconnessi eppure soli, secondo lo psicoterapeuta Matteo Lancini, presidente della Fondazione Minotauro, il problema centrale dell’adolescente del nuovo millennio è la delusione. «Stiamo facendo fatica perché non abbiamo un progetto futuro e la progettualità serve a vivere». Secondo Lancini, molte famiglie si sono ricomposte, hanno ritrovato un equilibrio. «Non è certo la fotografia del Mulino bianco, ma alcuni ruoli affettivi si sono recuperati. Ora devono essere i nostri ragazzi ad aiutarci a capire cosa gli serve davvero. Dateci consigli su come migliorare la scuola, come costruire una società meno individualistica. È possibile che loro siano in grado di gestire il pianeta in modo più responsabile di quanto siamo riusciti a fare noi».
Ma per i loro fratelli minori la situazione è ancora difficile. Racconta una mamma di tre figli: «Il più piccolo, sei anni, è quello che ha sofferto maggiormente. È agitatissimo, ci tiene svegli quasi tutta la notte». Fanno fatica a spiegare il loro disagio, gli mancano tremendamente i nonni, gli amici e la scuola. Paola, madre romana di un bambino di nove anni, osserva: «Pensavo fosse sereno, lo vedevo tranquillo, poi la sera trovo le sue magliette morsicate».
I bambini hanno difficoltà a esprimere la sofferenza. «Pensavamo che gli adolescenti avrebbero creato problemi, invece quelli in crisi sono i piccoli» osserva lo psicoterapeuta Federico Bianchi di Castelbianco, direttore dell’Istituto di Ortofonologia di Roma. «Hanno bisogno di spazio, di socialità. E sono loro a soffrire maggiormente per i litigi dei genitori. Le coppie già fragili non reggono più. Se non si uscirà a maggio le violenze domestiche non saranno più gestibili». Secondo Bianchi molti saranno gli effetti psicologici: «C’è una profonda differenza: i bambini al Nord vivono l’angoscia, a Roma invece l’ansia. I primi dovranno essere aiutati realmente». Una mamma di Torino sull’orlo di una crisi di nervi conferma: «Sono da sola con due maschi di 11 e 7 anni. È tutto sulle mie spalle, questa scuola online è drammatica. Con il più piccolo sto rifacendo le elementari. Per il grande, il lavoro è intenso, è carico di compiti. Fa molta fatica, basta una mosca e si distrae. È ansioso, guarda sempre l’ora. Ha avuto anche un attacco di panico. Da separata mi sento in difficoltà. Gli spostamenti con il padre sono complicati, sono saltati orari e visite. Temo per le loro vacanze estive, anche perché dovrò tenere aperto il mio negozio ad agosto».
La sociologa della famiglia Chiara Saraceno è preoccupata: «Si parla di didattica a distanza, ma c’è chi vive in tanti e in poco spazio, chi non ha internet perché è un costo in più, e nemmeno il computer. Mi turba che tutto ciò non sia stato messo a fuoco». Il 6 per cento degli alunni non ha accesso all’insegnamento online. Come Stella, 13 anni, una famiglia straniera in difficoltà, un leggero ritardo e il sogno di iscriversi alla scuola per parrucchieri. Per lei seguire le lezioni dallo smartphone della mamma è stato impossibile.
Continua la sociologa: «Come può funzionare la scuola a distanza quando sei chiuso in 40 metri quadri, magari in cinque e con un solo computer. Le famiglie devono far fronte a tutto, sono state lasciate sole. Certo non era facile, ma in Svizzera e in Inghilterra le scuole sono rimaste aperte almeno per i figli dei genitori che lavorano nella sanità».
Non si può restare in congedo parentale a vita, molti nonni di straforo continuano a fare i babysitter. Non dovrebbero, ma altre soluzioni non ci sono. Conclude Saraceno:«Vogliamo prevedere cosa faranno i nostri ragazzi da maggio a settembre? Non ne sento parlare, come se non fosse un’urgenza. Si sta discutendo sulle spiagge, ma forse sarebbe meglio pensare a quei bambini che in vacanza non potranno permettersi di andare. E se i campi estivi per ovvi motivi non ci saranno, per loro cosa sarà l’estate?». Una domanda che non ha ancora risposta.