Non ci sono solo i furbetti del reddito di cittadinanza. Si moltiplicano i casi di corruzione di funzionari dell’Inps che aggiustano pratiche e riconoscimenti di inabilità in cambio di favori. Soprattutto al Sud.
La banda del buco che riesce a scippare risorse all’Istituto nazionale di previdenza sociale è specializzata in bonus e pensioni di invalidità. Ma ci sono anche altri settori che dall’Inps stessa vengono considerati ad alto rischio di corruzione: la comunicazione è da bollino rosso per via delle sponsorizzazioni, le risorse umane, invece, per i procedimenti di mobilità del personale o delle stabilizzazioni. Un’area in particolare viene considerata a rischio «molto alto» e si occupa della tutela dei dati personali. Perché l’accesso abusivo alle banche dati, insieme alle mazzette per la pensione di invalidità, è tra i fenomeni più diffusi all’interno dell’ente. Ai vertici dell’istituto sono consapevoli di avere delle falle gravi. E non solo dai furbetti del reddito di cittadinanza, che sono una fetta della torta. Le mele marce con badge e cartellino non sono poche.
Si parla di una media di un centinaio di dipendenti che ogni anno finisce sotto procedimento disciplinare. L’illecito più comune è la corruzione. Gli uffici più esposti? Stando all’ultimo monitoraggio interno effettuato, che si ferma al 31 dicembre 2019, sono al Sud: su 94 casi di mazzette riscontrati, 33 avevano colpito gli uffici del Sud, 25 quelli delle isole, 21 quelli del Centro, dieci quelli del Nord-ovest e solo cinque del Nord-est. D’altra parte anche le inchieste giudiziarie lo confermano. E spesso la direzione generale non fa in tempo a far ruotare il personale che riceve un avviso di garanzia. Soprattutto quando scattano le misure cautelari disposte dalla magistratura. L’ultimo episodio verificatosi a Foggia a inizio luglio rende già rovente l’estate del presidente Pasquale Tridico. Le accuse sono gravissime: corruzione per l’esercizio della funzione, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, falso ideologico e materiale. Un medico legale, Giovanni Antonio Dell’Aquila, componente della commissione di riconoscimento delle invalidità e un funzionario amministrativo dell’Inps, Antonio Fusilli, sono finiti agli arresti domiciliari insieme al dipendente di un Caf.
Le indagini coordinate dal procuratore Ludovico Vaccaro hanno svelato che i tre avrebbero ricevuto denaro e regali in cambio del riconoscimento di invalidità totale, anche in assenza di visita medica. C’è chi ha consegnato 1.000 euro al medico dell’Inps e uno smartphone di ultima generazione al funzionario in cambio della falsa attestazione di invalidità. E chi ha versato 1.700 euro di anticipo per un handicap permanente. Gli investigatori ora stanno scartabellando tra le pratiche che passate tra le mani dei tre indagati per accertare se ci sono altre pratiche «contaminate». Anche perché durante una perquisizione a casa del dottore sono saltati fuori 17 mila euro in contanti, nascosti in parte in una lavatrice e in parte in uno zaino.
A Brescia il campanello d’allarme, invece, a febbraio. Quando è finita sulla sua scrivania la documentazione firmata dal procuratore Francesco Prete a carico del funzionario Gaetano Vitrano per i «ripetuti accessi abusivi alle banche dati istituzionali». In cambio dei favori fatti a un commercialista, indicato come il corruttore, il funzionario dell’Inps avrebbe ottenuto una Jeep per sostituire la sua vecchia auto. Ai bollettini ci pensava qualcun altro. Anche a Salerno c’era chi distribuiva i segreti della banca dati Inps. Un’inchiesta ha svelato che per ben 41 mila volte in tre anni un funzionario si era collegato abusivamente per ottenere informazioni utili al disbrigo delle pratiche gestite dal patronato in cui lavorava il figlio. Per lui era diventato un «doppio lavoro». Agli investigatori della Guardia di finanza è bastato dare un’occhiata ai conti correnti. E un mese fa è scattata una sospensione cautelare dalle funzioni. Ma non c’è soltanto chi ha cercato di arrotondare: a Perugia, si è scoperto, i dati riservati dell’archivio Inps venivano usati da un funzionario del settore Risorse strumentali per inviare lettere anonime. I magistrati l’avrebbero definito un buontempone se nelle missive non avessero trovato addirittura minacce di morte. E in questo caso, oltre all’accusa di accesso abusivo al sistema informatico, è scattata anche quella per le minacce. I nominativi degli ignari sfortunati sono una ventina. Solo uno di loro, però, si è costituito parte civile all’udienza preliminare.
Ma i problemi, soprattutto di immagine, per l’Inps non sono finiti. A Caulonia, in Calabria, a inizio 2021 sono finiti nei guai cinque dipendenti Inps che se ne andavano in giro in pieno centro durante gli orari d’ufficio. Dall’aperitivo al caffè al bar, alla spesa al supermercato, fino alle commissioni in altri uffici. Alcuni colleghi, indicati come complici, avrebbero timbrato il cartellino per loro. E, hanno scoperto gli investigatori, la pratica si sarebbe ripetuta per 900 volte in un anno, per un totale di circa 400 ore. Per i cinque era scattata una sospensione. Ma i loro difensori lo scorso mese di aprile sono riusciti a dimostrare che l’indice di produttività nell’ufficio era superiore agli standard dell’Inps e che le pratiche venivano chiuse in tempi da record. Il gip che li aveva interdetti li ha subito reintegrati a lavoro. Le accuse, però, per la procura restano in piedi.
I grattacapi maggiori, però, sono dalla Sicilia, dove le accuse ipotizzate dai magistrati sono addirittura di associazione a delinquere. Una delle inchieste, denominata «Pathology», e ha svelato una serie di truffe su pensioni di invalidità e altre misure previdenziali in cambio di mazzette. Il danno stimato per la pubblica amministrazione? «Oltre un milione di euro», spiegano i carabinieri di Patti. Nell’inchiesta, insieme ai funzionari dell’Inps, sono indagati avvocati, medici, dipendenti di Caf e periti. Anche a Trapani c’è un procedimento con numeri record contro 28 medici della commissione Inps per l’accertamento dell’invalidità civile: la procura contesta 162 capi di imputazione, tutti per falso. E, sempre in Sicilia, non poteva mancare la mafia. L’inchiesta del procuratore Carmelo Zuccaro ha ha scoperto come il clan degli Amantea a Catania faceva ottenere l’indennità di disoccupazione agricola a falsi braccianti. Anche in questo caso gli uffici dell’Inps erano «compiacenti».