Le reti neurali dei grandi motori di ricerca ci conoscono molto più di ciò che immaginiamo. Potranno, tra poco, sostituirci in tanti mestieri. E, già oggi, sanno fare diagnosi così come creare dipinti e poesie. Provano sentimenti? No. Almeno per ora, come conclude il matematico Alfio Quarteroni che su tutto ciò riflette in un libro.
Frasi di orwelliana memoria come «il Grande Fratello ci osserva» vengono oggi ripetute come un mantra. Ma chi ci osserva? Chi mette a rischio le nostre libertà? Chi condiziona le nostre vite? Non c’è risposta esauriente senza una comprensione chiara di cosa sia un algoritmo e, soprattutto, senza una consapevolezza della sua presenza ubiquitaria nella società di oggi.
Alfio Quarteroni, matematico di fama internazionale, accademico dei Lincei, insignito della cattedra Galileiana della Scuola Normale Superiore di Pisa, professore presso il Politecnico di Milano e l’École Polytechnique Fédérale di Losanna, ci guida in un viaggio alla scoperta dei vantaggi e delle insidie degli algoritmi, raccontandoci il loro ruolo nelle cose che usiamo quotidianamente, dai motori di ricerca ai social network fino alle decisioni politiche sulla pandemia.
E come sarà l’essere umano di domani in un mondo dominato dagli algoritmi? È la grande questione sullo sfondo dell’ultimo libro di Quarteroni, Algoritmi per un nuovo mondo (edizioni Dedalo).
Professor Quarteroni, cos’è un algoritmo?
In generale, è un insieme di istruzioni da seguire passo passo per la soluzione di un problema. Una ricetta è un esempio di algoritmo. Nel caso della matematica, pensi a un’equazione di secondo grado come quelle studiate a scuola. Per risolverla dovrà applicare una formula standard: individuare i coefficienti ed eseguire determinate operazioni in sequenza così da ottenere le soluzioni. Ecco, applicare la formula significa usare un algoritmo. Adesso immagini un’equazione di difficile soluzione, quelle che si usano per le previsioni meteorologiche. Per risolverle dovremo effettuare un numero così grande di operazioni da aver bisogno di un computer. La sequenza ordinata di queste operazioni costituisce un algoritmo.
Come si arriva dagli algoritmi a tutto ciò che abbiamo intorno: dai social network alle previsioni di eventi fino all’intelligenza artificiale?
Gli algoritmi del «machine learning» permettono a un computer di apprendere grazie all’esperienza, proprio come un bambino impara ad attraversare la strada dopo che i suoi genitori gli hanno mostrato più volte come fare.
Perché è importante il «machine learning»?
Supponiamo di voler insegnare a un computer a riconoscere se una foto ritrae un cane o un altro animale. Forniremo al computer come dato iniziale un insieme di addestramento: tante foto di di animali a cui assoceremo l’etichetta cane/non cane. Poi scriveremo un algoritmo che, traendo beneficio dall’insieme di addestramento precedente, consentirà al computer, in tutta autonomia, di associare ad una nuova foto l’etichetta cane/non cane.
Quindi, maggiori sono i dati iniziali che funzionano da addestramento, più è preciso il computer nel riconoscere la foto?
Esattamente: più dati di partenza ho più l’algoritmo è preciso. Oggi i dati iniziali a disposizione per istruire un computer a fare una certa cosa sono divenuti un numero enorme. Nel 1986 i dati in circolazione occupavano 281 milioni di miliardi di byte, nel 1993 erano 471 milioni di miliardi di byte, nel 2000 2,2 miliardi di miliardi e nel 2014 erano 650 miliardi di miliardi. Per questo si parla di Big data. Parallelamente, i computer sono più potenti e veloci e quindi in grado di fare più operazioni a parità di tempo.
E tra i dati con i quali istruire i computer ci sono i nostri…
Appunto. Quando usiamo internet, scriviamo una mail o mettiamo un like su Facebook stiamo lasciando tracce di noi. Grazie alle quali le grandi compagnie realizzano algoritmi che riconoscono gusti e abitudini. Si stima che bastino circa 200 like di un utente su Facebook per costruire un algoritmo abbastanza preciso da simulare gusti, propensioni e comportamenti di quell’utente. Le informazioni possono essere vendute ad aziende pubblicitarie che ne trarranno vantaggio. E questo in teoria può riguardare dati medici che potrebbero essere usati da compagnie assicurative.
Come ci si difende?
Spetta alla politica regolare l’uso dei nostri dati e qui c’è molta strada da fare. Tralasciando questo aspetto cruciale, come matematico posso dire che non c’è modo di ingannare gli algoritmi. Più tracce uno lascia di sé sulla rete più si aiuteranno i «data scientist» ad affinare gli algoritmi che svelano le nostre abitudini. La soluzione sarebbe stare disconnessi. Siccome per molti non è possibile, la strategia migliore è ridurre il più possibile le tracce lasciate sulla rete.
Lei usa i social network?
Li riduco ai minimi termini. Certo, la posta elettronica è un compagno di lavoro irrinunciabile per quasi tutti.
L’enorme potenzialità degli algoritmi ha anche lati positivi…
Infatti, se non ci fossero non potrei selezionare articoli e libri per far progredire la mia conoscenza. Fare acquisti in rete criptati e mandare immagini e film. Sono innumerevoli i campi nei quali gli algoritmi hanno migliorato la condizione umana. Per esempio, oggi ci consentono di diagnosticare malattie.
Un algoritmo è in grado distinguere una fake news da una notizia vera?
Algoritmi simili già esistono. Più dati saranno a disposizione più miglioreranno. È così che le grandi compagnie hanno potuto oscurare le dichiarazioni false di Donald Trump. Quindi vede… Ci sono aspetti positivi e negativi. Ma tutto dipende da noi: siamo noi umani a costruire gli algoritmi.
Gli algoritmi possono creare poesie o forme d’arte?
Certo, con il «machine learning» i computer creano arte, letteratura e musica. Producono musica come quella di Bach, splendidi dipinti a partire da una fotografia, poesie che nascono da un insieme di parole-chiave. Fanno tutto ciò «imparando» dalle grandi opere umane, sfruttando la nostra esperienza pregressa.
La loro creatività finirà con il competere con la nostra. Ci rubano non solo il lavoro ma anche qualcosa di più…
Nei prossimi 20 anni camionisti, autisti, addetti alle televendite, radiologi e altri specialisti saranno sostituiti parzialmente dagli algoritmi. Ma vuol anche dire che non dovremo più fare certi lavori noiosi e ripetitivi. L’intelligenza artificiale creerà poi nuove opportunità. Sono fiducioso che il bilancio sarà positivo. Io credo che avremo più tempo per fare le cose che danno maggior significato alla nostra vita.
Usando modelli e algoritmi, quanto precisi possiamo essere nel prevedere pandemie?
Se si conoscono a priori quali saranno le restrizioni operate dal governo, e gli effettivi tassi di vaccinazione, i modelli attuali consentono di trovare stime ragionevoli entro un intervallo temporale di alcune settimane.
Farebbe qualche critica alle istituzioni?
Servirebbe maggiore condivisione di dati, strutturati per età e contesto territoriale e sociale.
L’intelligenza artificiale sarà in grado di provare sentimenti, empatia?
Gioia, dolore, sorpresa, passione, compassione… Sono sentimenti di cui deteniamo l’esclusiva.
Sicuro?
Oggi, ancora, sì. Per il domani è difficilissimo fare previsioni. Temo che l’intelligenza artificiale ci riserverà tante sorprese.