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Perché all’Inps i conti non tornano

Perché all’Inps i conti non tornano

Con l’erogazione della cassa Covid l’Istituto di previdenza ha peggiorato i suoi bilanci. Ora ha bisogno dell’ennesima iniezione di liquidità. Ma anche di una profonda riorganizzazione per eliminare i tantissimi sprechi interni.


Che l’Inps di Pasquale Tridico non stia attraversando un periodo brillante è un fatto già noto. Tra errori grossolani, come il crash del sito sul primo bonus Covid, e i ritardi nei pagamenti della cassa integrazione, l’elenco è lungo. Ma ora c’è un problema ulteriore: i conti. Gli stessi organismi di controllo invitano a valutare la tenuta complessiva. L’allarme è stato lanciato.

Il Consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ), presieduto da Guglielmo Loy, ha sottolineato «la necessità, con forza, dell’intervento dei ministeri vigilanti affinché gli oneri conseguenti alla riduzione delle attività lavorative per motivazione Covid-19 siano coperte con trasferimenti dalla fiscalità generale». Al di fuori del burocratese, il messaggio è semplice: occorre ripianare. E la patata bollente è finita dritta tra le mani del nuovo ministro del Lavoro, Andrea Orlando. «Il peggioramento della situazione patrimoniale netta di 20 miliardi e 328 milioni di euro», si legge nel documento dell’organismo interno all’Istituto allegato al bilancio di previsione 2021, «è dovuto principalmente alla copertura con risorse attinte al bilancio Inps di una parte significativa delle prestazioni a sostegno del reddito alimentate dai contributi di imprese e lavoratori (cassa integrazione ordinaria e fondi di integrazione salariale)».

Conclusione: con il procedere della crisi, senza un intervento pubblico il quadro sarà destinato a peggiorare. «Con la conseguente necessità di un continuo ricorso alla anticipazione (prestito) di Tesoreria dello Stato», ha messo nero su bianco il Civ.

Ad arricchire il panorama dei soldi evaporati, c’è stata la multa di 300 mila euro inflitta dal Garante della privacy in merito alla gestione del bonus Covid, durante la prima ondata della pandemia. Il motivo della sanzione? «Mancata definizione dei criteri per trattare i dati di determinate categorie di richiedenti il bonus Covid, uso di informazioni non necessarie rispetto alle finalità di controllo, ricorso a dati non corretti o incompleti, inadeguata valutazione dei rischi per la privacy», ha spiegato il Garante. Una prova di pressappochismo. Ma soprattutto un ulteriore peso sui conti dell’Istituto di previdenza, che già non brillano. Il Civ ha perciò chiesto «una terapia d’urto per ridurre il costo per l’Istituto delle soccombenze in sede di giudizio che oggi pesano sul bilancio Inps per oltre 230 milioni di euro». Insomma, le cause legali sono una piaga per l’Istituto. Non è certo un caso che tra le uscite del 2021 siano stati conteggiati anche potenziali 284 milioni di euro per coprire le spese legali. Si dirà: una bazzecola rispetto a una mastodontica macchina che sposta oltre 200 miliardi di euro. Stando al bilancio preventivo 2021, in rosso di 20 miliardi, qualche problema ci sarà. A vari livelli. Tanto che monta qualche dubbio sulla tenuta complessiva dei conti. Il Consiglio di indirizzo e vigilanza «segnala anche come l’effetto della pandemia sul tessuto economico e sociale del Paese ponga il tema della sostenibilità e dell’equilibrio del rapporto tra assicurati (in leggero calo) e pensionati (in piccola crescita) portandolo al 1,24».

Nella nota ufficiale l’organismo di vigilanza rileva ancora come il tema della tenuta chiami in causa il Parlamento. Il motivo? «Dovrà osservare con attenzione in termini di interventi normativi e finanziari». Insomma, bisogna mettere mano alla spesa pensionistica. Del resto i dati sulle gestioni dell’Inps, relative ai vari settori, sono emblematici. La previsione del 2021 indica un rosso di oltre 14 miliardi per l’ex Inpdap relativo ai lavoratori pubblici. Va meno peggio, si fa per dire, alla gestione degli artigiani che sfiora il passivo di 6 miliardi. Mentre un altro miliardo di buco è provocato dalla voce delle altre gestioni. La voragine complessiva è, come detto, di oltre 20 miliardi, grazie alla parziale compensazione della gestione dei parasubordinati, che fa segnare un attivo di circa sei miliardi e mezzo. Un bel problema considerando che le «prestazioni pensionistiche» nel 2020 sono state pari a 239 miliardi di euro.

Eppure l’aria nelle alte sfere dell’istituto non è proprio quello di stringere la cinghia. Per i soli organi di vertice (presidente, cda, Comitati regionali e via dicendo) l’Istituto spenderà quest’anno 3,9 milioni di euro (solo 66 mila euro in meno rispetto al 2020). Ed è una fetta minuscola se paragonata al costo complessivo del funzionamento amministrativo: il personale, tra stipendi, straordinari, rimborsi e formazione costa qualcosa come 2 miliardi e 558 milioni, cui si sommano ulteriori 415 milioni di euro per il personale in quiescenza. Certo, parliamo di un ente di 28 mila dipendenti. E rispetto al 2020 la stima è quella di una lieve riduzione dei costi di una cinquantina di milioni. Ma, facendo una panoramica storica, i livelli restano i più alti dal 2013. Niente cura dimagrante, insomma.

Tra le voci previste dal bilancio c’è il milione e 256 mila per la fornitura di buoni pasto elettronici, 26,5 milioni per illuminare tutte le sedi, 115 milioni per eventuale manutenzione, 90 milioni tra pulizia e vigilanza e altri 84 per pagare i tanti affitti (nonostante l’immenso patrimonio immobiliare di cui pure dispone l’Istituto). Nelle pieghe del bilancio emerge, con imponenza, anche l’investimento per il contact center Inps-Equitalia: i vari lotti pesano nel complesso poco meno di 30 milioni di euro. Altri 25 milioni sono poi stati previsti per la realizzazione e gestione di portali e servizi online. Una beffa se si pensa ai malfunzionamento accaduti con il primo bonus Covid.

Sul digitale però l’Inps non è così avara: nel 2021 l’intero settore «2.0» tra macchinari, stampanti, gestione dati e chi più ne ha più ne metta, assorbirà oltre 500 milioni di euro. Speriamo possa servire a qualcosa e, soprattutto, a evitare altri clamorosi crash. Ma non è tutto. Perché, nonostante i 28 mila dipendenti, l’Inps non può fare tutto e così meglio affidarsi per alcuni servizi a terzi. Quali, per esempio? Il reddito di cittadinanza. Per la cui gestione l’Inps spende 15 milioni di euro tondi.

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