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Albania connection

Albania connection

I narcotrafficanti di Tirana stanno diventando i più potenti in Europa e guadagnano sempre più spazio nel nostro Paese. Fanno affari direttamente con i cartelli colombiani ed entrano in competizione persino con la ’ndrangheta. I clan hanno investito soprattutto nella città di Durazzo, che usano anche come punto d’incontro e «rifugio sicuro» per i pregiudicati. Mentre in Italia un loro porto di riferimento è Gioia Tauro.


I narcotrafficanti albanesi oggi fanno affari direttamente con quelli colombiani, al pari della ’ndrangheta». Non ha dubbi un investigatore che fa la spola tra il nostro Paese e i Balcani a proposito dei narcos che operano di là dall’Adriatico. In gergo vengono chiamati «Mafia Shqiptare», e rappresentano i 20 clan al centro dei più eclatanti commerci di stupefacenti di questo decennio.

L’ultima operazione risale al 3 dicembre scorso, quando la Guardia di finanza di Napoli e Salerno, in raccordo con la Procura di Napoli e la Direzione distrettuale antimafia, ha assicurato alla giustizia 11 narcocriminali, smascherando il connubio italo-albanese.
«Si considerano soci “alla pari” degli italiani e non si fanno la guerra tra di loro» assicura una fonte investigativa. «Lavorano allo stesso livello e con le stesse metodologie della ’ndrangheta, ma se devono ammazzare qualcuno lo fanno e basta. Un tempo erano considerati manovalanza, ormai hanno colmato quel gap».

Attivi in tutto il Paese, i clan hanno investito soprattutto nella città portuale di Durazzo, che usano anche come punto di incontro e «rifugio sicuro» per i pregiudicati. Tra i nomi che spiccano, vale la pena citare Dorian Petoku, l’uomo che per anni ha rifornito di cocaina le piazze europee, e Roma in particolare (grazie all’alleanza con il clan dei Casamonica).

Estradato in Italia lo scorso ottobre, dovrà scontare una lunga pena in carcere, anche in relazione a una serie di sospetti omicidi: Petoku, infatti, è considerato uno dei fornitori di cocaina del sodalizio romano al cui vertice sedeva l’ultrà della Lazio Fabrizio Piscitelli, alias «Diabolik», assassinato il 7 agosto 2019 in un giardino pubblico capitolino. Le indagini sulla morte di Piscitelli (ancora in corso) porterebbe proprio a una pista albanese, che condurrebbe fino alla capitale Tirana.

Non è da meno Dritan Rexhepi, un ex studente di legge che deve il suo successo al rapporto con il trafficante ecuadoregno Cesar Emilio Montenegro Castillo, noto anche come Don Monti: legato al cartello colombiano Norte del Valle e a quello di Sinaloa, aveva frequentazioni che arrivavano fino a Joaquín Guzmán, meglio noto come El Chapo, il signore della droga messicano i cui traffici fruttavano qualcosa come 100 milioni di euro l’anno.

Ma il vero boss è considerato Klement Balili: ex direttore della direzione dei trasporti della città portuale di Saranda, col tempo ha trasformato l’intera area di Valona in un maxi centro di smistamento della droga: cocaina, ma soprattutto hashish e marijuana.
Conosciuto come il «Pablo Escobar dei Balcani», dopo una lunga latitanza favorita da connivenze politiche ai massimi livelli, si è consegnato alle autorità di Tirana nel gennaio 2019. È stato condannato per partecipazione a gruppo criminale organizzato, traffico di sostanze stupefacenti e riciclaggio di denaro, con una pena complessiva di 15 anni (poi ridotta a 10 con rito abbreviato).

L’ambasciatore americano in Albania, Donald Lu, ha così descritto la vicenda di Balili nel 2016: «I politici di sinistra e di destra si sono piegati agli interessi di uomini d’affari corrotti, criminali e trafficanti di droga. In quale altro modo si può spiegare che il narcotrafficante Klement Balili sia ancora latitante?». Numeri alla mano, tra il 2018 e il 2020 all’interno dell’Ue sono stati arrestati per traffico di cocaina 266 cittadini albanesi, numero ancor più cospicuo rispetto ai brasiliani (257) e soprattutto ai colombiani (168).

Che i criminali del Paese delle aquile avessero fatto il salto di qualità nel narcotraffico lo si era capito il 18 settembre 2020, quando è scattata l’operazione antidroga della Polizia di Stato denominata Los Blancos. Risultato: 21 mandati di arresto, tutti indirizzati ad appartenenti all’organizzazione della malavita albanese Kompania Bello. Un vero cartello di narcotrafficanti la cui entità, per dimensioni e volumi, è paragonabile a quelli operanti in Sudamerica.

Già a maggio i finanzieri del Comando provinciale di Reggio Calabria, in collaborazione con la Polizia kosovara e la Criminalpol albanese, avevano scovato un gigantesco carico di cocaina nel porto di Gioia Tauro: proveniva dal porto di Santos (Brasile) ed era diretto in Kosovo. A gestire il traffico era ancora una volta Mafia Shqiptare. In questo caso, sono i numeri a fare clamore e spaventare: 400 chili di coca purissima, per un valore al dettaglio di oltre 100 milioni di euro.

C’è di più: secondo l’ultimo rapporto di Europol Cocaine Insights, i narcos albanesi punterebbero persino a scalzare gli ’ndranghetisti grazie ai legami sempre più diretti con i colombiani. Questo ha fatto scattare un campanello d’allarme anche dalle parti dell’Fbi, che monitora abituamente i traffici illegali lungo le coste di Venezuela, Brasile, Colombia ed Ecuador. I riscontri oggettivi degli americani fanno il pari con i dossier dei servizi d’intelligence di Belgio, Olanda Germania e Spagna.

Da queste carte segrete emerge infatti un particolare, confermato dal giornalista investigativo inglese John Lucas, che ne ha fatto menzione nel saggio Albanian Mafia Wars. L’ascesa dei narcos più letali d’Europa (ed. Aberfeldy). E quel particolare dice che il fenomeno viene da molto lontano, precisamente dall’unità speciale della Sigurimi, i servizi segreti dell’Albania comunista di Enver Hoxha. All’epoca, l’unità più spregiudicata era chiamata 101K e i loro eredi, una volta allo sbando, si sarebbero riciclati pianificando e poi gestendo in prima persona il narcotraffico transatlantico.

Con la morte di Tito e la dissoluzione della Jugoslavia, infatti, «la debolezza del nascente sistema democratico gettò presto il Paese nell’illegalità» scrive Lucas. «L’avvento della democrazia portò alla rapida dissoluzione della Sigurimi e della 101K. La conseguenza imprevista è stata che molti ex agenti di entrambi i gruppi ora erano liberi di immergersi completamente nel mondo della criminalità organizzata. Una progressione naturale per loro, essendo stati coinvolti nel contrabbando di sigarette in Albania, e forse droga all’estero, per molti anni».

La crescente importanza della mafia albanese nel Mediterraneo non soltanto destabilizza le rotte precostituite del narcotraffico atlantico, ma sembra davvero sul punto di intaccare il monopolio un tempo appannaggio della criminalità «tradizionale» (leggi ’ndrangheta e mafia siciliana).

Sono due, in particolare, gli episodi che hanno portato a queste conseguenze. Il primo risale al 2006 ed è stato causato dalla dissoluzione del gruppo paramilitare colombiano Auc (Autodefensas Unidas de Colombia), con cui i calabresi avevano creato un legame molto forte, e che è stato sostituito da cartelli messicani.

Il secondo è del 2016, quando l’accordo di pace tra il governo colombiano e i guerriglieri comunisti delle Farc ha portato allo smantellamento di una struttura di comando centralizzata e, conseguentemente, all’emergere di gruppi scissionisti che hanno via via polverizzato i precedenti rapporti di esclusività delle rotte, rimischiando le carte del narcotraffico internazionale.
A approfittarne più di tutti sono stati proprio gli albanesi.

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