Un documento fornito da una fonte anonima mostra come l’organizzazione benefica del miliardario americano Michael Bloomberg abbia speso centinaia di milioni per convincere i governi di vari Paesi a combattere le sigarette e vietare le sue alternative.
Le immagini, trasmesse anche dalla CNN, hanno fatto il giro del mondo: a Ocean City, nel Maryland (Stati Uniti), la polizia si è accanita con il taser su alcuni ragazzi che stavano usando una sigaretta elettronica. La loro unica colpa era quella di trovarsi fuori dalle aeree del marciapiede in cui è consentito farlo. La situazione è precipitata, sono scattate le manette.
Per quanto paradossali nella loro esasperazione, tali eccessi di potere avvengono sotto la luce del sole, sono puntualmente ripresi da qualche cittadino, pubblicati su internet, rilanciati dai telegiornali. Con il carico di indignazione che ne segue. Lo stesso non avviene in altri Paesi, specie in aree in via di sviluppo, dove da anni pare esserci un movimento che si muove nell’ombra per favorire un approccio durissimo contro il tabacco. Una mente unica che investe centinaia di milioni di dollari per convincere i Governi di molti Stati a mettere in piedi politiche di tassazione elevate e varare sanzioni stringenti contro chi usa le sigarette. Proibendo del tutto, non dando nessuna possibilità di affermarsi alle alternative a rischio ridotto, che vari studi hanno dimostrato essere meno pericolose. Porsi come strade ragionevoli, mali minori, per chi non riesce o non vuole smettere di fumare.
La rivelazione nasce da un’inchiesta della giornalista Michelle Minton pubblicata sul sito Cei.org (link: https://cei.org/blog/exposed-bloombergs-anti-tobac…), frutto delle evidenze contenute in un documento di 128 pagine fornito da una fonte anonima. Nel testo si legge dell’atteggiamento pervasivo di Bloomberg Philantropies, organizzazione senza scopo di lucro fondata dal miliardario, ex sindaco di New York e magnate dei media Michael Bloomberg. La Minton, peraltro, non è nuova a questo tipo di inchieste, già lo scorso febbraio aveva pubblicato un altro articolo in cui definiva tale “filantrocolonialismo” di Bloomberg «una minaccia alla salute pubblica e alla scienza».
In sintesi, il colosso della solidarietà persegue lo scopo, nelle intenzioni lodevole, di sbarrare ogni porta al tabacco, disincentivarlo con prepotenza e fare lo stesso con qualsiasi strumento di nuova generazione o prodotto a base di nicotina che non sia di tipo farmaceutico. Quindi anche la sigaretta elettronica e i dispositivi a tabacco riscaldato. Per riuscirci, oltre a dare molto denaro all’Organizzazione Mondiale della Sanità, a fondazioni e unioni attive nella lotta al cancro ai polmoni, tramite i suoi intermediari avrebbe – stando all’inchiesta e al documento che ne fa da fonte – versato ingenti risorse a giornali, membri influenti della società civile, politici e governi spesso lontani dai principi cardine della democrazia. Dando vita, per usare le parole dell’autrice dell’articolo, «a un coro altamente sincronizzato di interessi interdipendenti, coordinati da lontano». Un colonialismo morale a suon di dollari.
Uno dei principali beneficiari di questi fondi sarebbe stato il Ctfk, abbreviazione di «Campaign for tobacco-free kids», organizzazione americana attiva su scala globale per offrire alle prossime generazioni un mondo senza tabacco. Secondo l’inchiesta, tramite suoi uomini chiave (in particolare un avvocato argentino) avrebbe scritto per intero una proposta di legge in Messico per vietare le sigarette elettroniche. In Vietnam, avrebbe finanziato direttamente il dipartimento del ministero delle Finanze che si occupa delle politiche fiscali, in Brasile l’ufficio del procuratore generale, mentre in Cina ha sparso denaro a pioggia in tre province. Abbastanza per aspettarsi qualcosa in cambio, o almeno essere presa in considerazione nelle decisioni. Lo stesso è successo nelle Filippine, dove l’organizzazione finanziata da Bloomberg avrebbe provato a escludere i rappresentanti dell’industria del tabacco dal processo decisionale circa le politiche che li riguardano, impedendogli di avere almeno una voce in capitolo sul loro futuro. E l’elenco di casi è lunghissimo.
È noto che le sigarette uccidono, è legittimo lavorare per spegnerle per sempre, non tutti i metodi per riuscirci potrebbero esserlo. A maggior ragione se si tagliano fuori in partenza alternative a rischio ridotto: «Le istituzioni, la politica e una certa parte di scienziati puntano a screditare l’approccio di riduzione del danno da fumo con attacchi che delegittimano coloro che hanno un’opinione diversa dalla loro», ha sottolineato Konstantinos Farsalinos, Università di Patras e School of Public Health dell’University West Attica in Grecia, durante l’ottava edizione del Global forum on nicotine (Gfn), che si è tenuta a Liverpool a fine giugno. Farsalinos ha citato proprio Bloomberg Philanthropies: «Ha investito milioni di dollari in quest’opera di discredito, senza però confutare i risultati dei nostri studi sulle potenzialità della riduzione del danno da fumo. Diverse organizzazioni fondate da Bloomberg non hanno mai presentato evidenze scientifiche».
Le evidenze, ricordate a conclusione dell’inchiesta di Cei.org, ci sono invece sul fatto che tanto accanimento contro il fumo non dia necessariamente gli effetti sperati da chi porta avanti queste lotte. «In Turchia» si legge nel testo «un Paese considerato una storia di successo per avere implementato tutte le politiche sul tabacco dell’Organizzazione mondiale della sanità che il Ctfk propaganda intorno al mondo, i tassi di fumatori tra gli adulti sono aumentati dal 27 a oltre il 31 per cento tra il 2012 e il 2018». Altrove, la tassazione più alta «ha incrementato il contrabbando di tabacco e indirizzato i consumatori verso il mercato illecito». Non sempre, a voler far del bene, si fa bene.