Intervento manu militari da parte di Giuseppe Conte per tramite del ministro dei Rapporti parlamentari, il grillino Federico D’Incà. Palazzo Chigi mette la fiducia e stoppa in culla un emendamento firmato addirittura da 50 deputati dei 5 stelle che aveva il palese obiettivo di abrogare la norma di riforma del comparto d’intelligence inserita nottetempo nel decreto Emergenza approvato dal Cdm di fine luglio.
Il blitz estivo aveva suscita numerose polemiche non solo da parte dell’opposizione, ma anche tra le fila dei dem e, come si è visto ieri, pure del M5s. Il motivo è la forzatura palese delle regole democratiche. Con il pretesto del Covid, il governo è riuscito a intervenire anche là dove la politica si è sempre mossa di concerto tra maggioranza e opposizione e sempre in ambito d’Aula. Il testo del nuovo decreto va a modificare un passaggio della legge 124 del 2007, considerata la bibbia statutaria delle agenzie di intelligence. Le parole «una sola volta» sono state sostituite da una frase più ampia: «Con successivi provvedimenti per una durata complessiva massima di ulteriori quattro anni».
Tradotto, fino a ora i vertici dei Servizi venivano nominati di abitudine per due anni e poi potevano essere rinnovati per una sola volta. In teoria, la durata complessiva di un incarico poteva essere di otto anni totali, nella prassi (sempre rispettata dagli ultimi governi) tra incarico e rinnovo non si andava mai oltre i quattro anni complessivi. Non un calcolo a caso, ma una scelta basata sull’equilibrio delle istituzioni democratiche.
I direttori delle agenzie non potevano avere incarichi troppo brevi per permettere loro di svolgere serenamente il proprio lavoro, e non potevano aver incarichi troppo lunghi per evitare che la durata superasse quella della singola legislatura. Con il colpo di mano, invece, Conte potrà rinnovare più volte i capi dell’intelligence anche per brevi periodi di un anno o di sei mesi e, prima di andarsene, potrebbe confermare un suo preferito affinché sia operativo pure quando arriverà un successore a Palazzo Chigi. Il primo effetto pratico della modifica statutaria, se come ormai sembra scontato passasse in Aula assieme alla fiducia, sarà quello di confermare il direttore dell’Aisi, Mario Parente.
Il responsabile del servizio interno è stato prorogato a metà giugno per mezzo di un atto amministrativo (basato su apparenti motivazioni di ordine pubblico) che però un mesetto dopo la Corte dei conti ha bocciato, ritenendolo un veicolo non idoneo per rinnovare un direttore dei Servizi. Da lì la necessità di intervenire per sanare a posteriori il pasticcio. Il fatto però che il governo abbia colto la palla al balzo per ampliare in modo spropositato il potere politico sul comparto dell’intelligence non è piaciuto soprattutto al Copasir. Anzi ha creato così tanti malumori, come abbiamo scritto sopra, che già l’indomani della pubblicazione della notizia del blitz sembrava che il governo fosse disposto a fare marcia indietro. Il rappresentante del Pd presso il comitato per la sicurezza, Enrico Borghi, aveva alzato le barricate sostenendo che in sede di conversione si sarebbe fatto di tutto per riportare l’articolo 6 del testo dentro l’alveo della legge statutaria del 2007. Invece lunedì sera le cose sono un po’ sfuggite di mano. La deputata grillina che rappresenta il Movimento al Copasir, Federica Dieni, firma il testo per abrogare l’intero articolo 6 e con lei mettono la firma altri 49 onorevoli. Ne sono informati subito il leader grillino Vito Crimi, ma anche Carlo Sibilia e Angelo Tofalo rispettivamente sottosegretario all’Interno e alla Difesa. I firmatari sono un quarto del battaglione grillino alla Camera. Un numero che non può essere sottovalutato. Interviene Crimi per fare ritirare l’emendamento. Il tentativo non riesce, e così si muove Conte, mettendo direttamente la fiducia e al tempo stesso lasciando le impronte digitali su quella che sarà ricordata come la peggiore riforma dei Servizi degli ultimi 20 anni. Perché si rende ormai inutile pure l’emendamento di Fratelli d’Italia, già pronto ma «bruciato» dalla fiducia. E perché, a meno che la pattuglia di dissidenti decida di non votare il decreto Emergenza facendo cadere l’intero governo, il blitz notturno di Conte diventerà legge. Questo sarà così il primo governo a poter nominare un direttore dei Servizi anche solo per pochi mesi, con tutto ciò che ne consegue sull’indipendenza delle istituzioni. Resta infine da capire nella partita bollente che si è giocata ieri che ruolo abbiano avuto Pd e renziani. Alla proroga di Parente erano sicuramente più interessati i rappresentanti dem e di Italia viva più che Conte, il quale non ha mai smentito rapporti privilegiati con il numero uno del Dis, Gennaro Vecchione. Così il risultato finale è che il pasticcio diventa legge e in futuro ne dovrà rispondere solo Conte. Il quale, per salvare sé stesso come premier, è caduto con tutti e due i piedi nel conflitto d’interessi della sua delega ai Servizi, che non molla da quando è stato nominato presidente assieme a Lega e 5 stelle. Se qualcuno avesse voluto fare un trappolone, non avrebbe potuto farlo meglio, lasciando nudo il re e spaccando pure i 5 stelle in due tronconi netti.