House of cards: elogio delle trame oscure
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Televisione

House of cards: elogio delle trame oscure

Sangue, lotte di potere, scandali sessuali: la nuova serie tv  sembra il cinico ritratto della politica americana. Invece è un inno all’arte della strategia.

Semplice: "Il diritto e la forza si disputano il mondo", così sentenziava Florido Zamponi, maestro all’accademia militare di Toscana, in uno storico trattato sull’arte della strategia del 1858. Aggiungendo, con italiano musicale, che "la disposizione alla guerra è di sua natura negli uomini come il sentimento della loro dignità". Una frase che sembra uscita dalla bocca del deputato della Carolina del Sud Francis J. "Frank" Underwood, protagonista della nuova serie tv in partenza su Sky Atlantic il prossimo 9 aprile: House of cards. Saranno 13 puntate che parrebbero un ritratto buio della politica americana, un ballo di figure losche pronte ad arrivare fino all’assassinio pur di portare a compimento le proprie macchinazioni. Eppure, a ben guardare, la serie può essere letta come un elogio dell’arte della strategia e della segretezza quali massime espressioni dell’intelligenza umana. "È lo stesso messaggio di un’altra serie di culto, Trono di spade, oggetto di un lavoro che ho commissionato ai miei studenti" dice il politologo Luciano Bozzo, autore di Studi di strategia: guerra, politica, economia, semiotica, psicoanalisi, matematica (Egea edizioni). "Predicare trasparenza" continua "serve solo a mettersi in una luce etica di fronte all’opinione pubblica, ma uccide la politica. Senza segretezza non esiste strategia di conflitto e non esiste sorpresa: le contromisure dell’avversario diventano letali".

Nel mondo di House of cards i vertici fra leader non vengono trasmessi in streaming. Con i giornalisti si parla eccome, ma per fornire loro informazioni destabilizzanti. È il regno delle stanze chiuse contro il mondo della trasparenza. Ci pensa Kevin Spacey in persona, l’uomo che dà il volto al protagonista Frank Underwood, a fornire la giusta lettura in un incontro a Londra con Panorama: "Questo film non parla di politica. Ma mostra come il potere passi di mano in mano nel più infrangibile silenzio".

Tratta dal romanzo omonimo di Michael Dobbs (1989) e a sua volta ispirata a una miniserie inglese prodotta nel 1990 dalla Bbc, House of cards è la storia di un politico sottile come un rasoio, capogruppo del Partito democratico al Congresso degli Stati Uniti, bulimico di potere ma stranamente disinteressato al denaro. Quando gli viene negata la poltrona di segretario di Stato, alla quale pensava di essere destinato, Underwood comincia una silenziosa guerra per riprendersi ciò che, dal suo punto di vista, gli spetta: avvia una relazione faustiana e di abuso sessuale con una giovane giornalista; crea e poi distrugge la figura pubblica di un giovane compagno di partito; blandisce il vicepresidente degli Stati Uniti per cercare di prenderne il posto; finge attentati alla propria incolumità per risultare vittima quando invece è carnefice; assolve, condanna, prescrive, uccide. Il tutto, con la moglie Claire (interpretata da Robin Wright, si veda l’intervista a pagina 177) perennemente al suo fianco, complice e sodale ma allo stesso tempo perfettamente autonoma e altrettanto spietata. "Amo questa donna più di quanto gli squali amino il sangue" dice Underwood-Kevin Spacey parlando direttamente in camera, come se bisbiliasse i suoi segreti a chi lo osserva, utilizzando una modalità recitativa di chiamata in causa diretta dello spettatore ispirata al Riccardo III di William Shakespeare e considerata uno dei motivi di successo della serie.

A rendere più veritiero il quadro d’insieme, un team di sceneggiatori e consiglieri esperti del mondo politico. A partire dallo stesso Kevin Spacey, amico personale e consigliere negli anni 90 di Bill Clinton. E poi lo sceneggiatore 36enne Beau Willmon, già autore de Le idi di marzo (diretto da George Clooney) e negli anni giovanili coinvolto nella campagna elettorale del candidato democratico Howard Dean. E ancora Jay Carson, già vicesindaco di Los Angeles e molto vicino a Michael Bloomberg. Fino all’autore del libro da cui tutto è tratto, Michael Dobbs, consigliere del primo ministro inglese Margaret Thatcher fino alla violenta rottura del 1987: "Perché litigammo? Era al potere da troppo tempo, aveva perso il feeling con l’elettorato. La politica è fatta di particolari che sfuggono ai più: il fatto che soffrisse da settimane di un terribile mal di denti non ha certo aiutato le cose tra di noi" racconta Dobbs a Panorama dalla sua residenza londinese.

Il suo libro è ora proposto in Italia da Fazi. Intanto il tema della macchinazione guadagna terreno in libreria. La Einaudi ha riproposto La nostra gang, romanzo del 1971 in cui Philip Roth si appassiona al presidente Richard Nixon fra analisi delle strategie, delle lobby, dell’apparire per essere e dell’essere come manipolazione. Per i tipi di Farrar Straus & Giroux, negli Usa, è invece uscito The Kraus project, dove Jonathan Franzen riscopre il pensiero di Karl Kraus con una visione da "Re nudo" che sembra il controcanto dell’Underwood-pensiero. Negli Usa, prodotta e trasmessa da Netflix (piattaforma con 33 milioni di abbonati che offre intrattenimento via internet streaming), House of cards sta nel frattempo rivoluzionando le regole delle serie tv. Amazon, per esempio, ha subito risposto con il progetto di un’altra serie producendo quattro episodi pilota visibili dal proprio sito, come a presidiare il nuovo mercato. Contemporaneamente, ha fatto discutere la scelta di Netflix di rilasciare tutte e 13 le puntate della seconda stagione di House of cards in una volta sola, lo scorso 14 febbraio. Una sorta di omaggio al "binge watching", pratica nota agli appassionati di serie tv, che consiste nel guardare tutti gli episodi in maratone notturne. "L’abbiamo imparato da Napster" spiega Willmon "il pubblico vuole il controllo". Bill Clinton per esempio ha ammesso di essersi bevuto tutte le puntate in un sabato sera. E anche Barack Obama, terrorizzato dal pensiero che qualcuno potesse rovinargli il weekend davanti allo schermo, poche ore dopo l’uscita americana ha twittato un invito che, direbbe Underwood, in realtà era una minaccia: "Arriva House of cards. Nessuno metta in rete anticipazioni, please".

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Raffaele Panizza