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E' morto Yogi Berra. Con lui, il baseball è diventato leggenda

E' morto a 90 anni uno dei più grandi giocatori di sempre. Di origini italiane, ha raccolto trionfi con la divisa dei New York Yankees

L'America del baseball piange uno dei suoi figli più nobili. Se n'è andato a 90 anni Yogi Berra, l'abc del batti e corri planetario, l'uomo che ha messo a ferro e fuoco decine di primati fuori e dentro il campo. Il Giocatore con la G maiuscola, quello che "prima lui, poi tutti gli altri", manager e navigatore che ha preso per mano New York e l'ha accompagnata a uno sbuffo, forse meno, dalla gloria. Eroe e mito per generazioni di aspiranti campioni, ha definito le regole del gioco a spasso per gli Stati Uniti. Tutti lo temevano, tutti lo amavano. Dicevi Yogi, il soprannome che gli è stato cucito addosso da giovanissimo e che ha ispirato il simpatico orso dei cartoni animati, e il pubblico impazziva di gioia. Più di un fuoriclasse: un uomo ricco di storia e di talento. Aveva origini italiane. Berra è nato a Saint Louis da genitori immigrati. Il papà, Pietro, era originario di Cuggiono, piccolo centro alle porte di Milano.

Diciotto anni di attività, 358 fuoricampo

Con il casco da ricevitore - ruolo-chiave nel baseball, un po' regista, un po' filibustiere - ha raccolto dal 1946 al 1963 numeri meravigliosi con la divisa degli Yankees, la franchigia più titolata al mondo. Diciotto anni con la Y stampata sul petto a far venire il mal di pancia agli avversari di tutto il Paese. Le statistiche rivelano la magia: 285 di media battuta, 358 fuoricampo, la miseria di 411 eliminazioni al piatto su 7546 presenze alla battuta. Per farla semplice, un battitore con i fiocchi. Anzi, di più. Quando si presentava Yogi nel box di battuta, il lanciatore guardava il suo manager in cerca di conforto. Era una furia, il Berra con il bastone in mano. Da tenere a bada con la fortuna e nulla più.

La bussola della difesa

In difesa, poi, era una bussola. Chiamava i lanci del suo pitcher con la precisione chirurgica di chi conosce e prevede. Yogi disponeva e suggeriva, inventava e risolveva. La squadra si muoveva al suo comando. Era un manager prima ancora di diventare un fuoriclasse con il guantone. Ha commesso 109 errori in 1697 partite. Un robot, o poco ci manca. Con un braccio meccanico capace di folgorare qualsiasi cosa si muovesse tra una base e l'altra in cerca di gloria, avversari compresi. Un giocatore completo, strepitoso e inarrivabile in tutti i fondamentali. Ecco chi è stato Berra nella prima parte della sua carriera. Un portento della natura, il manifesto senza tempo del baseball. L'unica sua colpa (si fa per dire) è stata costruire sogni in bianco e nero. Avesse giocato negli ultimi trent'anni, Youtube sarebbe colmo delle sue imprese.

I suoi trionfi, un primato tira l'altro

Come Nolan Ryan, Sandy Koufax, Lou Gehrig, Willie Mays, Babe Ruth, stella tra le stelle nella lista dei cento migliori giocatori del Novecento. Più di Joe Di Maggio per numero di trofei esposti in bacheca: dieci a nove le World Series (le gare che decidono il titolo della Major League) conquistate dal Berra in versione Yankees. E cosa dire delle 18, ripeto, 18 convocazioni per l'All Star Game, la tradizionale partita che si disputa ogni anno tra i rappresentanti più autorevoli delle due leghe a stelle e strisce? Con la maglia numero 8 (ritirata per diritto e per onore) ha vinto in tre occasioni il premio come miglior giocatore dell'American League. Nessuno è mai riuscito a superarlo. A 40 anni, l'ultimo giro di valzer tra gli applausi di tutti gli appassionati dello sport made in Usa. Nel 1972, il suo nome è stato inserito nella Hall of Fame. Non avrebbe potuto essere altrimenti.

Un asso dentro e fuori del campo

Dopo aver smesso gli abiti da fenomeno del diamante, Berra ha predicato baseball dal dugout (la panchina declinata al batti e corri). Prima negli Yankees, poi nei Mets (con cui ha detto la sua anche in campo, giusto per non perdere la mano), poi ancora negli Yankees e infine negli Houston Astros. Yogi ha seguito da protagonista la MLB fino al 1989. Da manager non è però mai riuscito a ripetere i risultati che aveva messo da parte da giocatore. Capita ai grandissimi di tutte le latitudini sportive. Pochissimi sono però coloro i campioni che sono riusciti a non far perdere le proprie tracce nel corso del tempo. Merito di uno dei vizi più affascinanti del Berri millebellezze: la passione per le frasi a effetto, spesso impossibili da decifrare senza improvvisare un sorriso. Qualche esempio? "Non è finita finché non è finita", il più famoso. E poi ancora, "Non abbiamo più il futuro di una volta", "Se il mondo fosse perfetto, non lo sarebbe", "Ok ragazzi, mettetevi in fila per ordine alfabetico, secondo la vostra altezza". Berra è morto il 22 settembre, lo stesso giorno del suo debutto in Major League. Nulla accade per caso.

Berra
New York Times
La notizia sul sito del New York Times

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Dario Pelizzari